«Ognuno torni alla propria Galilea»

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La Pasqua con Papa Francesco. Le sue parole di pace; i suoi inviti a fuggire la “mentalità delle tombe sigillate”; il suo appello ad “annunciare il Signore”

Papa Francesco ha presieduto la Veglia pasquale, dopo aver seguito venerdì sera la via Crucis del Colosseo da Casa Santa Marta per evitare il freddo di questi giorni.

Il cero pasquale acceso ha attraversato la navata centrale della basilica di San Pietro gremita da ottomila fedeli e ha raggiunto l’altare, prima del canto dell’Exultet, che ha annunciato la resurrezione, seguito dal Gloria, accompagnato dal suono delle campane e poi dall’Alleluja, che ha preceduto la lettura del Vangelo. Nell’omelia il Papa ha esclamato: «Ognuno torni alla propria Galilea, quella del primo incontro con Cristo, e risorgiamo a vita nuova».

«La notte sta per finire e si accendono le prime luci dell’alba, quando le donne si mettono in cammino verso la tomba di Gesù. – ha spiegato – Giungendo presso quel luogo e vedendo la tomba vuota, invertono la rotta, però, cambiano strada; abbandonano il sepolcro e corrono ad annunciare ai discepoli un percorso nuovo: Gesù è risorto e li attende in Galilea». L’appuntamento col Risorto è lì. L’invito è di fare come le donne a Pasqua che «non restano paralizzate davanti a una tomba ma corrono a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Portano la notizia che cambierà per sempre la vita e la storia: Cristo è risorto! E, al tempo stesso, custodiscono e trasmettono la raccomandazione del Signore, il suo invito ai discepoli: che vadano in Galilea, perché là lo vedranno». Andare in Galilea vuole dire due cose: «Da una parte uscire dalla chiusura del cenacolo per andare nella regione abitata dalle genti» e dall’altra «significa ritornare alle origini. Lì il Signore aveva incontrato e chiamato per la prima volta i discepoli». «Dunque – ha detto il Santo Padre – andare in Galilea è tornare alla grazia originaria, è riacquistare la memoria che rigenera la speranza, la “memoria del futuro” con la quale siamo stati segnati dal Risorto». È il migliore antidoto alla mentalità delle «tombe sigillate». Cioè «le nostre delusioni, le nostre amarezze e la nostra sfiducia». Quell’atteggiamento che ci porta spesso a dire e a pensare in termini di «“non c’è più niente da fare”, “le cose non cambieranno mai”, “meglio vivere alla giornata” perché “del domani non c’è certezza”».

«Per risorgere, per ricominciare, per riprendere il cammino, abbiamo sempre bisogno di ritornare in Galilea, cioè di riandare non a un Gesù astratto, ideale, ma alla memoria viva, concreta e palpitante del primo incontro con Lui. Sì, fratelli e sorelle, per camminare dobbiamo ricordare; per avere speranza dobbiamo nutrire la memoria. Questo è l’invito: ricorda e cammina! – ha concluso Francesco – Se recuperi il primo amore, lo stupore e la gioia dell’incontro con Dio, andrai avanti. Il Signore, esperto nel ribaltare le pietre tombali del peccato e della paura, vuole illuminare la tua memoria santa, il tuo ricordo più bello, rendere attuale il primo incontro con Lui».

Al termine dell’omelia è seguita la liturgia battesimale, nel corso della quale il Papa ha battezzato 8 catecumeni: 3 provenienti dall’Albania, 2 dagli Stati Uniti d’America, 1 dalla Nigeria, 1 dall’Italia e 1 dal Venezuela.

Il giorno dopo, domenica 9 aprile, si è affacciato dalla Loggia delle Benedizioni, dinanzi a 100 mila fedeli riuniti in piazza San Pietro, per la benedizione “Urbi et Orbi”, nella quale ha invocato da Dio la pace per un mondo troppe volte avvolto nelle “tenebre” e nell’“oscurità”. Alle 12 in punto, dopo che la fanfara ha suonato l’inno dello Stato della Città del Vaticano, seguito da quello nazionale italiano, il Santo Padre ha pronunciato, da seduto, il suo messaggio all’umanità.

Accanto a lui il cardinale James Michael Harvey, arciprete della Basilica di San Paolo fuori le Mura, che ha annunciato l’indulgenza plenaria. Presente anche il cardinale albanese Ernest Simoni, 94 anni, venuto a Roma per accompagnare i tre giovani albanesi che hanno ricevuto dal Pontefice il Battesimo nella veglia pasquale. Vittima di prigionia e torture da parte del regime comunista albanese, il cardinale è un eroico testimone della forza della fede nonostante le persecuzioni.

Nel messaggio, il Pontefice ha ricordato il senso della Pasqua. «In Gesù si è compiuto il passaggio decisivo dell’umanità: quello dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia, dalla paura alla fiducia, dalla desolazione alla comunione» e ha esortato a superare i conflitti e le divisioni e ad aprire i cuori a chi ha più bisogno. Ha ricordato le «tante pietre di inciampo» che rendono il percorso «arduo e affannoso». Sono tutte quelle guerre, divisioni fratricide, ingiustizie e violenze che insanguinano il mondo. Il Papa le ha elencate a una a una, a cominciare dalla «martoriata» Ucraina. Il pensiero è andato poi alla Siria e alla Turchia devastate dal terremoto e a Gerusalemme, «prima testimone» della Risurrezione di Gesù. Francesco ha poi lanciato un appello per il Libano «ancora in cerca di stabilità e unità», perché «superi le divisioni e tutti i cittadini lavorino insieme per il bene comune del Paese». Il suo sguardo si è posato sul Myanmar, pretendendo giustizia per i Rohingya. Al Signore, infine, ha chiesto di ispirare i responsabili delle nazioni, «perché nessun uomo o donna sia discriminato e calpestato nella sua dignità e perché nel pieno rispetto dei diritti umani e della democrazia si risanino queste piaghe sociali». Ha concluso ripetendo per tre volte le parole di Cristo apparso dopo la resurrezione ai discepoli: «Pace a voi».

«Gesù si incontra testimoniandolo»: ce lo insegnano le donne discepole che all’alba del mattino di Pasqua si recano alla tomba di Cristo.

Nel “Regina Coeli” del Lunedì dell’Angelo, affacciandosi alla finestra del Palazzo apostolico vaticano, alla folla presente nella piazza Francesco ha chiesto di custodire nel cuore l’insegnamento delle donne che all’alba del mattino di Pasqua si recano alla tomba di Cristo per onorarne il corpo con unguenti aromatici e che, pur soffrendo per la morte di Gesù, «diversamente dagli altri» non si sono lasciate pervadere «dalla tristezza e dalla paura». «La loro volontà di compiere quel gesto d’amore» prevale su tutto, – ha sottolineato il Papa – e, pur consapevoli che, essendo la tomba sigillata, sarebbe stato necessario togliere la pietra che la chiudeva, «non si scoraggiano, escono dai loro timori e dalla loro angoscia».

«Quando noi annunciamo il Signore, – ha aggiunto – il Signore viene a noi. A volte pensiamo che il modo per stare vicini a Dio sia quello di tenerlo ben stretto a noi; perché poi, se ci esponiamo e ci mettiamo a parlarne, arrivano giudizi, critiche, magari non sappiamo rispondere a certe domande o provocazioni, e allora è meglio non parlarne e chiudersi: no, questo non è buono! Invece il Signore viene mentre lo si annuncia».

Al Santo Padre sono giunti anche gli auguri di Pasqua del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, che ha citato la Pacem in Terris, l’enciclica di san Giovanni XXIII di cui ricorrono i sessant’anni, auspicando una riflessione più approfondita sul suo messaggio “sulla pace fra tutte le genti fondata nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà”. Al termine le sue “felicitazioni per l’ormai prossima ricorrenza di san Giorgio”, onomastico di Jorge Mario Bergoglio, che cade il 23 aprile.

(Foto: Vatican Media/SIR)

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