«Occupiamo il liceo!»

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La stagione scolastica, così anomala e critica, sta volgendo rapidamente al termine: co-me ogni fine anno si tirano le somme, si intensificano le verifiche, si fanno piani strategici per alzare la media in qualche materia, ma, non come ogni fine anno, si elucubra tutto questo davanti a uno schermo, si intrattengono rapporti con gli insegnanti via mail, le verifiche sono questionari compatibili con la didattica digitale e non più compiti in classe nei quali si mette in campo la task for-ce di aiuto reciproco o interrogazioni nelle quali il confronto ravvicinato con l’occhio ceruleo di qualche professoressa incute particolare timore. Da febbraio a oggi i ragazzi hanno attraversato, per dirla con termine molto in voga attualmente, varie fasi: la Fase 0 ha coinciso con il prolungamento delle vacanze di Carnevale. È stata la fase della spensieratezza negazionista: «E vai! Un’altra settimana di vacanza! Dovrebbe esserci un Coronavirus tutti gli anni! Quante storie per un’influenza…». In tale frangente, a parte la sospensione delle lezioni e la chiusura di alcuni locali, la vita è proseguita senza grandi scossoni, anzi, la diminuzione dell’impegno scolastico ha favorito le attività sportive e le uscite con gli amici, fornendo l’illusione di una sorprendente e inaspettata vacanza. La Fase 1, iniziata con la chiusura degli impianti sportivi e la stabilizzazione della didattica a distanza prevista allora fino alla fine del mese di marzo, è stata la fase della presa di coscienza di quanto stava accadendo: la guerra contro uno spietato nemico invisibile contro il quale ci siamo trovati a combattere. Per mantenere qualche brandello di normalità nella scansione di giornate tutte uguali, è stato amplificato l’impegno nello studio e le nuove modalità di insegnamento e di confronto con i compagni da remoto hanno suscitato interesse ed entusiasmo, ravvivato dalla speranza di un ritorno in classe dopo la pausa pasquale. Ora che siamo nella Fase 2 e stiamo recuperando molti tasselli della nostra quotidianità, è il momento dell’adattamento a una sconosciuta “normalità”, accompagnato, come era prevedibile, da una rinnovata vis polemica: «Perché non possiamo andare a scuola? Nessuno di noi si è ammalato: ormai si è capito che i contagi maggiori sono nelle case di riposo. Perché dobbiamo pagare noi ragazzi? Io voglio tornare a scuola, anche solo una settimana!». In coscienza non mi sento di contestare certe giustificate osservazioni, posso solo tentare di calmierare l’impeto, ma l’effetto non è quello sperato: «Sai cos’ho pensato?». Forse sarebbe meglio non saperlo! «Se a volte gli studenti hanno occupato la scuola per protesta, allora potremmo farlo anche noi: occupiamo il liceo perché vogliamo tornare a scuola!».

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