«L’uomo governa la tecnica quando governa se stesso»

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Intelligenza Artificiale. È il tema del momento. Il Papa auspica che diventi uno strumento di pace. Tutti ne parlano, pochi sanno esattamente che cosa sia e a che cosa serva. Noi lo abbiamo chiesto a un esperto, l’informatico Andrea Tomasi

DI DANIELA CATALANO

Se ne parla ormai da tempo, tra luci e ombre, applicazioni pratiche e problemi etici, ma che cos’è, davvero, l’Intelligenza Artificiale?

Si avvale delle abilità di un sistema tecnologico capace di interpretare e riprodurre aspetti della nostra quotidianità ed è già utilizzata in molti campi come il marketing, l’informazione, la sanità e la pubblica sicurezza. Sul tema si è espresso anche Papa Francesco, auspicando che l’Intelligenza Artificiale diventi uno strumento per raggiungere la pace.

Noi, per comprendere meglio l’uso che se ne può fare, lo abbiamo chiesto ad Andrea Tomasi, informatico che studia le implicazioni culturali delle tecnologie digitali e dell’Intelligenza Artificiale. Docente di Informatica per le Discipline Umanistiche, di Etica delle tecnologie ICT al Corso di Dottorato di Ingegneria dell’Informazione all’Università di Pisa, Tomasi ha collaborato con il Servizio Informatico della Cei per i progetti delle Diocesi e delle parrocchie, ha diretto il progetto Ecumene per lo sviluppo di strumenti informatici in rete per la fruizione del patrimonio dei BBCC della Chiesa italiana ed è membro del direttivo di WECA, l’associazione che riunisce i web cattolici. Ecco che cosa ci ha detto.

In che cosa consiste esattamente l’Intelligenza Artificiale?

«Il termine “Intelligenza” fa pensare alle capacità umane, ma è un paragone improprio. La macchina non pensa, ma opera con schemi che compiono azioni e mostrano all’esterno risultati simili a quelli di un operatore umano, in un ambito specifico, anche se vastissimo: quello dei problemi che si possono risolvere con procedimenti algoritmici, cioè con meccanismi che agiscono in base a regole certe, con una logica razionale. Molti libri e film di successo, e tanta pubblicistica divulgativa, parlano dell’AI e dei robot come di possibili imitazioni dell’essere umano e delle sue capacità di pensiero, ma trascurano il fatto che le macchine non hanno, né avranno mai, consapevolezza di ciò che fanno, né possono assumere atteggiamenti emotivi o creativi. La logica algoritmica e la potenza di calcolo sono tuttavia in grado di affrontare problemi estremamente complessi e gestire grandi quantità di dati, che le persone non sarebbero in grado di maneggiare. I supercomputer necessari per il calcolo, il “cloud” in cui conservare i dati e una connettività sempre più veloce sono gli elementi tecnologici fondamentali alla base degli sviluppi recenti delle tecniche di AI, che ne hanno ampliato le possibili applicazioni. L’AI opera oggi dentro un “ecosistema digitale” composto dalla rete Internet, dai dati che circolano in rete, dai dispositivi che controllano apparati e raccolgono dati nell’ambito industriale, commerciale, domestico, e dalle infinite app installate nei cellulari. L’AI cosiddetta “generativa”, di cui si parla da un anno, ha sviluppato invece le tecniche algoritmiche necessarie per “addestrare” i sistemi e dotarli di una capacità di regolarsi autonomamente di fronte a situazioni o domande nuove, a cui il sistema risponde sulla base di analogie statistiche con ciò che fa parte del patrimonio di conoscenze acquisite».

Papa Francesco ha dedicato al tema il Messaggio per la Giornata della Comunicazioni Sociali 2024, perché le sfide che pone l’AI possono essere anche antropologiche, educative, sociali e politiche…

«Il Messaggio sottolinea un aspetto importante. Si pensa spesso che le questioni relative all’AI, come nel caso di altre tecnologie, riguardino problemi tecnici, scientifici e industriali. Ma sempre più spesso le tecnologie, in particolare le tecnologie digitali, ci mettono di fronte a questioni che richiedono comprensione e consapevolezza più ampia di quelle degli “addetti ai lavori”. Ci sono sfide evidenti, che l’AI impone al mondo esterno, ma anche sfide più nascoste, dovute alla struttura e al funzionamento stesso dei sistemi di AI. Una commissione di esperti nel luglio 2020 ha elaborato per conto del Mise (Ministero dello Sviluppo Economico) un documento di “Proposte per una Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale”. In esso sono indicati i rischi sociali connessi alla sostituzione di lavoratori e professionisti con sistemi di AI, la possibile manipolazione del dibattito pubblico fino a influire sulle scelte politiche, la costruzione di una società eccessivamente controllata, il rischio ambientale dovuto all’enorme consumo energetico necessario per far funzionare i sistemi digitali e le connessioni alla rete Internet. Gli algoritmi dei sistemi di AI possono essere inoltre potenziali amplificatori delle disuguaglianze e dei pregiudizi esistenti, quando vengono usati per assumere decisioni che riguardano la vita e il benessere delle persone. A mio avviso, però, i rischi più seri riguardano l’ambito antropologico, e possono essere affrontati solo con un serio lavoro culturale ed educativo: l’uomo, ricorrendo sempre più spesso e in moltissime situazioni alle tecnologie di AI, rischia di perdere alcune attitudini e competenze sul piano conoscitivo, della memoria e del ragionamento. Sono fenomeni già avviati dalla diffusione di Internet e dei social, che riducono capacità importanti per la costruzione della propria identità personale e delle relazioni con gli altri. Ma la sfida più radicale, io credo, è quella che obbliga l’uomo a ripensare se stesso nel rapporto con le macchine. Troppo frequentemente siamo indotti a pensare che la macchina è più veloce, più precisa, meno emotiva degli esseri umani “e quindi” è più intelligente e adatta a prendere decisioni. E troppo spesso siamo indotti a pensare che la giustificazione etica per certe azioni sia data dalle possibilità offerte dalle tecnologie, senza chiamare in causa la responsabilità dell’uomo».

Quale sarà l’impatto dell’AI sulla vita degli individui e della società, sulla stabilità internazionale e sulla pace? In un’epoca in cui si pensa di poter governare il mondo, l’uomo sarà capace di gestire responsabilmente l’AI?

«È la domanda centrale. Nel Messaggio del Papa si condanna fermamente la possibilità di perfezionare le armi con le tecniche dell’ AI. Ma per diventare strumento di pace, occorre che l’AI sia applicata a tutte le forme di sviluppo umano, soprattutto nei Paesi più poveri del mondo. Governare l’AI è un tema fondamentale, che richiama gli insegnamenti di un grande pensatore, Romano Guardini. Un secolo fa Guardini profeticamente si chiedeva “come può l’uomo governare la tecnica?” e ne indicava due premesse necessarie: la tecnologia può essere governata solo se la si conosce; per governare la tecnologia l’uomo deve essere capace di governare se stesso. Ciò che dà un grande potere alle tecnologie, infatti, è ciò che spinge l’uomo a dominare sugli altri».

La comunità scientifica italiana come si inserisce a livello mondiale nel percorso dell’AI? Siamo solo all’inizio di un cammino o siamo già giunti alla meta?

«In Italia ci sono eccellenti realtà di ricerca e un’ottima impostazione di strategia di sviluppo per l’AI. E ci sono italiani in posizioni prestigiose e influenti in varie realtà: una per tutti, Francesca Rossi, marchigiana, informatica laureata a Pisa, responsabile presso la sede centrale di Ibm per l’etica dell’Intelligenza Artificiale e presidente di una delle associazioni internazionali più importanti del settore, l’Aaai (Associazione per lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale). Non si può poi trascurare la presenza di padre Paolo Benanti nel comitato di consulenti per l’AI del segretario generale dell’Onu. Per quanto riguarda la ricerca in Italia va considerato che rispetto agli Stati Uniti e alla Cina, leader mondiali del settore, solo un impegno a livello almeno europeo può ottenere risultati di rilievo. Non solo per la misura dei finanziamenti necessari, ma anche perché la qualità degli algoritmi di AI dipende dalla quantità, varietà e completezza dei dati con cui i sistemi vengono “addestrati”».

Andrea Tomasi
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