Corsa all’oro e alle terre rare
Di Cesare Raviolo
Le cronache politico-economiche hanno dato ampio risalto alle vicende che stanno interessando le quotazioni di metalli e minerali “preziosi”. Innanzitutto l’oro, il cui prezzo è lievitato del 40,87%, attestandosi a 3.324,25 dollari per oncia troy, cioè 95,121 euro al grammo. Le ragioni della crescita sono da ricer- carsi nella crescente richiesta delle banche centrali per incrementare le riserve, nella perdurante incertezza geopolitica, nelle previsioni di calo dei tassi di interesse, nella scelta dell’oro come bene rifugio e nella scarsità della materia prima. È stato proprio quest’ultimo fattore ad incidere di più sull’aumento di prezzo. Negli ultimi anni, infatti, la produzione è stata di poco più di 3.000 tonnellate annue e, a questo ritmo, senza la scoperta di nuovi filoni, le riserve sotterranee conosciute sono destinate a esaurirsi in meno di 18 anni. Nel 2020, infatti, a livello mondiale, i giacimenti identificati ammontavano a circa 53.000 tonnellate, localizzati prevalentemente in Australia, Russia, USA, Perù e Sudafrica. In rialzo anche le quotazioni dell’argento, arrivate a 32,71 dollari per oncia troy, pari a 0,936 euro per grammo, in crescita del 16,16% nel 2025. A trainare il rialzo è stata la domanda proveniente dalle multinazionali che producono missili e satelliti e dalle industrie dell’elettronica miniaturizzata (cellulari, pc, ecc.) Anche per l’argento l’offerta è scarsa: la produzione è scesa da 600 grammi per tonnellata di materiale estratto a meno di 200 grammi, con molte miniere che estraggono l’argento come sottoprodotto di rame o zinco. I maggiori produttori sono Messico, Perù e Cina. Nei giorni scorsi sono state al centro dell’interesse le cosiddette “terre rare”. Trump e Zelensky si sono accordati per lo sfruttamento congiunto dei giacimenti ucraini. Questi minerali sono un gruppo di 17 elementi che, pur essendo abbondanti, presentano basse concentrazioni e di rado sono disponibili in giacimenti economicamente sostenibili. La denominazione “terre rare” deriva dalla difficoltà incontrata inizialmente per separarle dai minerali nei quali sono presenti. Esse sono fondamentali per molte applicazioni tecnologiche nel campo dell’elettronica, delle energie rinnovabili, dell’automotive, nel settore aerospa- ziale, della difesa e della medicina. Le maggiori riserve sono detenute dalla Cina, seguita da Brasile e India; la Cina è anche il maggior produttore mondiale, con una capacità estrattiva di 270 mila tonnellate nel 2024. È una nuova “corsa all’oro”? A che prezzo? E, soprattutto, chi lo pagherà davvero?
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