Come uscire dalla trappola delle incomprensioni?

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Lo sport italiano e i giovani. Dal mondo dell’atletica un esempio di integrazione sociale

DI LUIGI MARUZZI

L’atletica sa trasferire alla nostra sensibilità un elevato grado di coinvolgimento emotivo e, fra tutti gli altri sport, è quello con la maggiore capacità di esprimere lo sforzo sovrumano che i giovani compiono offrendo se stessi nel tentativo di superare ostacoli e barriere. Ecco perché proviamo una forte delusione nel vedere un atleta famoso in stato di prostrazione per la mancata conquista di un posto sul podio. È successo recentemente per Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi, a Tokyo durante gli ultimi campionati mondiali e, purtroppo, l’incoraggiamento del pubblico non ha potuto fare magie per cambiare la situazione. Uno dei giorni seguenti ho ascoltato alla radio lo specialista di salto in alto Matteo Sioli (20 anni appena), e il mio entusiasmo ha ripreso vigore. “Guarda guarda” mi son detto “c’è qui un giovane in gamba, che non solo fa sul serio nello sport, ma considera anche l’ipotesi di una sconfitta con spirito di reazione. Ha già preparato un piano B, è appassionato di cucina e cibo sano, si vede già nei panni del nutrizionista”. Nonostante le performance non entusiasmanti di alcuni, la rappresentativa italiana ha raggiunto un risultato ragguardevole con sette medaglie di cui 1 d’oro 3 d’argento e 3 di bronzo. E, se vogliamo dirla tutta, un merito particolare va riconosciuto a quegli atleti con uno o entrambi i genitori stranieri: ben 4 medaglie. Non si tratta di una novità assoluta, il grado di integrazione degli stranieri non può ancora dirsi ottimale, ma i passi fatti in avanti non sono trascurabili. Del resto, non occorrono indagini demoscopiche per accorgersi di cosa stia accadendo nel nostro Paese. Certo, quando si parla di stranieri in Italia non si può fare a meno di registrare un’accesa discordanza di pareri, il più delle volte dovuta all’osservazione dei soli fatti che ci toccano da vicino e che facilmente rischiamo di proiettare sul contesto generale. Mi domando, però, cosa penserebbe una persona non coinvolta, diciamo pure un essere obiettivo e neutrale come un marziano, se salisse a bordo di uno dei treni che ogni sera riporta in Liguria e Piemonte la forza lavoro assorbita di giorno dalle esigenze lombarde. Dispositivi elettronici che trasmettono ad alto volume musiche canzoni e discorsi in varie lingue; cibo e bevande frettolosamente consumati; corpi abbigliati nelle fogge più variopinte. La prima impressione potrebbe essere quella di una grande confusione, di una zona franca dove tutto è permesso. Sono sicuro, invece, che il marziano si limiterebbe a constatare solo un insieme di naturali scene di vita. E avrebbe ragione: tutto è manifestazione della vita e dei suoi bisogni, difendersi dal caldo e dal freddo, procurarsi occasioni di svago, rispondere alla fame e alla sete, mischiarsi con i propri simili. Per un boomer come il sottoscritto si tratta di uno spettacolo difficile da digerire; è l’allenamento al rispetto e all’applicazione delle regole che me lo impedisce. Chissà quante volte vorrei avviare (con loro) una pacifica discussione: «se vuoi ascoltare musica, utilizza le cuffie», «se vuoi parlare di lavoro con un collega, rimanda a domattina»; «e se sei così stanco da sentire il bisogno di togliere le scarpe e appoggiare i piedi sul sedile di fronte, trattieniti dal farlo perché una volta entrato in casa potrai goderti il tuo nuovo divano in pieno relax». Eh già, ma le cose non stanno esattamente in questi termini semplicistici; bisognerebbe sapere quale sia veramente la realtà che molte di queste persone trovano quando rientrano a casa. La nostra società sta cambiando velocemente, spetta a noi capire che il valore delle regole dipende da una libera presa di coscienza sulla necessità di mettere al primo posto il rispetto degli altri. Non esiste un corso che abiliti allo status di cittadino responsabile e sufficientemente disponibile verso altre culture; occorre crescere in questa direzione senza la foga di voler bruciare le tappe. E poi, non è vero che su quel treno sono tutti stranieri; come pure non è vero che tutti gli stranieri si comportano in modo non condivisibile. Stando all’esperienza personale, sono tanti gli adolescenti e i giovani di nazionalità italiana con l’abitudine di sporcare i sedili. Resta il fatto che in questa sorta di apprendistato anche lo sport può darci una mano a uscire dalla trappola delle incomprensioni provocate da una scarsa conoscenza reciproca. Come si fa a non provare soddisfazione per la medaglia di bronzo guadagnata a Tokyo da Iliass Aouani? Un atleta ingegnere che, ad esempio, non si vergogna di provenire da una famiglia modesta (dalla sua stessa voce apprendiamo che il padre continua a fare il muratore), che si vanta di avere una guida “spirituale” (altro che mental coach) e che – soprattutto – dal 2011 al 2020 ha gareggiato per l’Atletica Riccardi Milano 1946 (un’associazione nonprofit sostenuta con una certa continuità da Fondazione Cariplo). Per semplicità, determinazione e orgoglio di appartenenza, Iliass mi ha fatto venire in mente Pietro Mennea: pochi anni prima della sua scomparsa, durante un incontro a dir poco inusuale, ci espose alcuni interessanti progetti in favore dei giovani, con una passione che i funzionari fortunatamente presenti in via Manin non dimenticheranno.

luigiginomaruzzi [at] gmail.com

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