Banana fritta, byrek e pizza

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di Davide Bianchi

Quando si deve lavorare insieme per un lustro, condividendo un percorso che prevede anche il raggiungimento di obiettivi e competenze, ciò che più conta per me è che quel gruppo di individui, apparentemente irrelati e irriducibilmente diversi gli uni dagli altri, siano in grado di fare squadra. Non importa se le persone con le quali stai intraprendendo questa navigazione siano adulti, adolescenti o bambini di 5 o 6 anni. La coesione sociale e l’appartenenza giocano un ruolo cruciale e ti consentono di raggiungere più facilmente i traguardi prefissati. I bambini hanno una naturale inclinazione alla socialità e all’inclusione e il senso d’affiliazione si genera e si vivifica attraverso i gesti più semplici. Lo scambio di piccole porzioni di merenda all’intervallo è uno di questi. È un momento particolarmente spassoso e lo trovo sempre fonte d’ispirazione culturale, un po’ meno, gastronomica. Oltre ad assistere ad abbinamenti culinari irricevibili nei quali il confine tra dolce e salato passa in secondo piano rispetto alla pura gioia fine a se stessa dello scambiarsi il cibo, a volte mi sembra di partecipare, come in un viaggio, a un cosmopolita e multietnico street food. C’è chi arriva con porzioni di riso accompagnate da una salsa a base di lenticchie, c’è chi si porta la banana fritta, c’è chi ha il couscous, ogni tanto mi è anche capitato di vedere un pezzetto di byrek: una torta salata albanese, deliziosa, esiste anche una versione per vegetariani con gli spinaci. Ovviamente non mancano gli spuntini più comuni: focacce, brioche, pizzette, patatine. Anch’essi risultano essere preziosa merce di scambio. Il sodalizio culturale tra palati impavidi avviene, come dicevo, all’intervallo, in cui a gruppetti spontaneamente si radunano in quattro o cinque seduti attorno a un paio di banchi appaiati e, come lavoratori in pausa pranzo in trattoria, si gustano e si scambiano i piaceri della tavola. Niente di più normale, niente di più bello. C’è poi chi la merenda quel giorno non ce l’ha, vuoi perché se l’è mangiata sullo scuolabus, vuoi perché «la mamma si è dimenticata di mettermela nello zaino». Nessun problema, esiste un sistema di welfare e il malcapitato si ritrova ad assaggiare praticamente tutto quello che quel giorno passa il convento. I compagni ci tengono a contribuire alla causa e ciò, forse, indirettamente, fa anche da monito affinché ci si ricordi sempre di portarsi qualcosa da mettere sotto i denti. Si diventa grandi anche così, ma insieme.

biadav@libero.it

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