Van Gogh, c’erano i santi oltre i girasoli
Nella Lettera pastorale del vescovo un interessante dettaglio d’arte
E se Van Gogh, il pittore dei campi di girasoli, avvolti da quel giallo esistenziale, che era diventato il colore dei suoi tormenti, sotto sotto fosse anche un teologo con la tavolozza? Lo stimolo a rileggere uno dei geni della storia della pittura universale scatta in un passaggio dell’omelia che il vescovo, Monsignor Guido Marini, ha condiviso con i fedeli nella Messa del 4 ottobre scorso per l’inizio dell’Anno Pastorale. Nella sua riflessione, tra la lettera di San Paolo ai Galati e il riferimento a un passaggio del discorso d’esordio del pontificato di Papa Leone XIV, è apparsa, infatti, anche una intrigante citazione d’arte: ovvero un quadro di Vincent Van Gogh, I primi passi del 1890 (conservato al Metropolitan Museum di New York). Per parlare della Chiesa tortonese (e non solo) il vescovo ha chiamato in causa Vincent, il pittore, oltre a Paolo, “tredicesimo apostolo”, primo testimone della Risurrezione e al nuovo Pastore sulla soglia di Pietro. Riflettendo sul concetto di speranza, Monsignor Marini ha, infatti, detto di aver trovato tra le fonti d’ispirazione anche “un’opera d’arte davvero straordina- ria”. L’opera è un dipinto di Van Gogh che riprende un soggetto di Jean-François Millet (l’artista francese autore dell’iconico L’Angelus): ha ricordato il vescovo Marini nell’omelia, diventata, così, lezione emozionale sull’arte. “Un bambino di circa un anno, anco- ra tenuto in piedi dalla mamma, tende pieno di gioia le braccia verso il papà che, a qualche metro di distanza lo attende, sorridendo e a braccia aperte”. Il quadro ha una carica simbolica che accende l’interpretazione teologica. “La donna – ha annotato il vescovo in questa esegesi del dipinto – rappresenta la madre Chiesa che ci tiene per mano, accompagnando il cammino della nostra crescita umana e spirituale. L’uomo rappresenta il Padre che ci attira a sé e ci attende gioioso. Nel piccolo bambino siamo rappresentati tutti noi”. Un’interpretazione sopra le righe? La forzatura di un contesto pittorico adeguato alla catechesi? Assolutamente no, anche se Van Gogh è ormai considerato, nell’immaginario collettivo dell’arte, come un pittore che fa “cassetta” di biglietti venduti ogni volta che si organizzano mostre con qualche sua opera (successo postumo: in vita non gli andò certo così bene). Immancabili i girasoli, manco, il buon Vincent, non avesse voluto dipingere o comunicare altro di sé e di cosa sentiva dentro. Eppure sotto sotto c’era, nella sua arte, la ricerca di Dio e di come raccontarlo nei quadri. E lo scrive al fratello Theo, suo primo confidente e amico: “Se avessi avuto la forza di continuare, avrei fatto dei ritratti di santi e di sante dal vero, che sarebbero sembrati d’un altro secolo, pur essendo gente di oggi, e avrebbero avuto un’intima parentela con i cristiani più primitivi. Le emozioni che questo ci provoca sono però troppo forti, io rinuncio, ma più tardi, più tardi non è detto che non ritorni alla carica”. Il buon pittore aveva una sorta di blocco, di pudore a trattare soggetti religiosi (eccetto qualche rarefatta Deposizione). Ma c’è una spiegazione che lui stesso svela nelle lettere al fratello ed è quella di un pittore che cercava nei volti della gente comune proprio quei caratteri che, prima o poi, avrebbe riprodotto nelle tele con contenuto religioso. Dal volto rasserenato di Père Tanguy a quello stanco, ma sorridente del giardiniere; da quello addolorato della contadina olandese Gordina de Groot al volto rubicondo e dallo sguardo distratto del postino: era la gente comune ritratta da Van Gogh che, chissà, prima o poi, avremmo ritrovato sotto la croce di Cristo in un suo dipinto. E c’erano già nella mente del pittore. Cercare nei ritratti le tracce del divino: era la cosa che Van Gogh faceva con i colori. Lo scrive sempre al fratello, raccontando del suo desiderio di “esprimere l’amore di due innamorati con l’unione di due colori complementari e le vibrazioni misteriose di toni ravvicinati. Esprimere il pensiero di una mente con il raggiare di un tono chiaro sul fondo più scuro. Esprimere la Speranza con le stelle. L’ardore di un essere con la luce di tramonto…”. Nella Notte stellata di Van Gogh la luce delle stelle è proprio quella di vortici che sprigionano un’energia celeste. A ispirare le forme e i colori del pittore, in definitiva, non erano certo i girasoli nei campi. Il 17 settembre 1875 Vincent scrive al fratello: “Essere sensibili, anche profondamente, alle bellezze della natura non significa essere religiosi, sebbene io ritenga che le due cose siano strettamente connesse l’una all’altra… È scritto: questo mondo passa con tutti i suoi splendori. Ma si parla anche di quella buona parte, che non ci verrà portata via e di una sorgente d’acqua che porta alla vita eterna. Preghiamo quindi di poter diventare ricchi in Dio. Ma non cercare, adesso, di analizzare troppo queste cose – poco per volta ti appariranno più chiare – e fai come ti ho consigliato. Chiediamo che il nostro compito nella vita sia quello di diventare i poveri nel regno di Dio, i servi di Dio. Ne siamo ancora lontani; preghiamo affinché il nostro sguardo diventi chiaro, e allora il nostro intero corpo irradierà luce”. No, non erano solo girasoli…
Fabrizio Guerrini

