Salutate sempre, con educazione

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di Patrizia Ferrando

Avete presente certe frasi ricorrenti dal tono sollecito, profferite con frequenza da mamme di piccoli di ieri, ma direi anche di oggi? Mi riferisco ai classici “Saluta!”, “Come si dice?” oppure “Hai salutato la signora?”. Dovrebbe bastare questo esempio per allocare il saluto a uso minimo di una società civile, riguardo al quale non occorre scrivere nemmeno le brevi righe di una rubrica. Non sono, però, del tutto sicura che l’argomento sia davvero trascurabile. Non vi è capitato d’imbattervi nelle, variamente riprovevoli, schiere di quelli che non salutano? La gamma è vasta e passa dai conoscenti che svicolano per bolsa indifferenza o iniquo puntiglio (consiglio di salutarli con vigore, per non somigliare loro) a coloro che cercano di evitare il contatto per una specie d’imbarazzo, coi quali consiglio di ricercare uno sguardo caloroso che preveda qualsiasi frase. Meglio, sempre, un saluto in più che un saluto in meno, perfino coi soggetti che si aggirano nei negozi, evidentemente, con retrogusto di losche intenzioni poiché, se qualcuno dà loro il buongiorno, sobbalzano come fossero stati sorpresi con le dita nella marmellata.

Non dimentichiamolo: salutare è un gesto piccolo, richiede pochi secondi, uno sforzo minimo ma accompagnato con un sorriso ha grandi potenzialità.

Salutare significa dare attenzione, accoglienza, riguardo verso gli altri, empatia, cortesia ed educazione.

Le forme di saluto da prediligere sono anche le più immediate.

“Buongiorno – Buon pomeriggio – Buonasera”, che contrariamente a quanti taluni pensano, non sono affatto saluti distaccati, bensì corretti, sia rivolti a estranei e conoscenti sia in famiglia. Ad esempio, augurare buongiorno al mattino ai propri famigliari è oltre a un saluto, un augurio e un segno di presenza affettuosa.

“Arrivederci” suona come un saluto di congedo comunicativo e cordialmente augurale.

“Ciao” resta riservato alla sfera informale, tra amici e parenti.

Da evitare come la peste, o quasi, sono invece altre formule.

“Salve” viene dal verbo latino “salvere” ed è un’espressione augurale di buona salute. È totalmente impersonale, non denota amicizia e confidenza e tanto meno rispetto. Trasmette noncuranza e disinteresse comunque sia pronunciata.

“Saluti” trasmette a sua volta una forma amorfa, distaccata e senza alcuna attenzione, da non utilizzare nemmeno nella corrispondenza.

Quando bisogna salutare? Non dovrebbe nemmeno essere un quesito: lo si fa sempre, entrando e uscendo da locali e negozi, incontrando colleghi di lavoro e i propri dipendenti, in ascensore, all’inizio di una telefonata e al suo termine, nel primo messaggio in una chat, in qualsivoglia forma di comunicazione.

patrizia.marta.ferrando@gmail.com

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