Percorso condiviso delle cure: i punti fermi della legge 219/2017
Fine vita. Nella terza puntata della nostra inchiesta diamo la parola a un medico palliativista, il dr. Bruno Nicora. In attesa di ospitare, oltre a quelli del Meic di Tortona, altri contributi sull’argomento
DI BRUNO NICORA
Argomenti trasversali e divisivi come l’eutanasia, la nutrizione artificiale nel paziente terminale, il suicidio medicalmente assistito possono, nel dibattito comune, mettere in ombra dispositivi legislativi e documenti accademici che invece indicano percorsi terapeutici ben definiti. La disciplina delle cure palliative da pochi anni è diventata a sua volta una specialità medica con un titolo conseguito dopo quattro anni di studi e tirocini. Il riferimento, in questo dibattito, è la Legge 219/2017. Una normativa che, declinata nei suoi articoli, tocca punti cruciali come il diritto all’autodeterminazione, al percorso condiviso di cure. Il paziente, con il suo consenso, ha diritto a essere informato sullo stato attuale del suo quadro clinico, nonché sulla sua possibile evoluzione negativa, con i possibili trattamenti tesi a contenere una sintomatologia dolorosa o disturbante. Va ricordato che per il paziente terminale non esiste solo il dolore come sintomo da trattare ma spesso emerge un corredo sintomatologico vario ed esteso (ad esempio la subocclusione intestinale, la nausea, il prurito che compromettono la qualità della vita ed esauriscono le riserve d’organo). L’articolo 2 cita la “terapia del dolore e anche il divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale della vita” e si ricollega alla legge numero 38 del 15 marzo 2010 che sancisce il diritto di tutti i cittadini a usufruire dei servizi di cure palliative. La terapia sostitutiva come la nutrizione, l’idratazione o la trasfusione di emoderivati sono praticate nel caso in cui siano prognosticamente favorevoli, portando un reale beneficio e non un’ulteriore compromissione. La nutrizione in clinica palliativa sarà proprio tra gli argomenti dibattuti nel prossimo congresso nazionale della S.I.C.P. (Società Italiana di Cure Palliative). Diventa utile citare il messaggio del Santo Padre Francesco del meeting europeo della World Medical Association (tenutosi a Roma il 16 e 17 novembre 2017): “Nella complessità determinata dall’incidenza di questi diversi fattori sulla pratica clinica, ma anche sulla cultura della medicina in generale, occorre dunque tenere in assoluta evidenza il comandamento supremo della prossimità responsabile, come chiaramente appare nella pagina evangelica del Samaritano (cfr Luca 10, 25-37). Si potrebbe dire che l’imperativo categorico è quello di non abbandonare mai il malato. L’angoscia della condizione che ci porta sulla soglia del limite umano supremo, e le scelte difficili che occorre assumere, ci espongono alla tentazione di sottrarci alla relazione. Ma questo è il luogo in cui ci vengono chiesti amore e vicinanza, più di ogni altra cosa, riconoscendo il limite che tutti ci accomuna e proprio lì rendendoci solidali. Ciascuno dia amore nel modo che gli è proprio: come padre o madre, figlio o figlia, fratello o sorella, medico o infermiere. Ma lo dia! E se sappiamo che della malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte. In questa linea si muove la medicina palliativa. Essa riveste una grande importanza anche sul piano culturale, impegnandosi a combattere tutto ciò che rende il morire più angoscioso e sofferto, ossia il dolore e la solitudine”. Ecco che grazie alla riflessione di Papa Francesco comincia ad assumere significato anche il concetto espresso nell’articolo 5 della normativa in cui si sottolinea la frase “pianificazione condivisa delle cure”. Si offre la possibilità al paziente, e con il suo consenso, ai familiari o agli appartenenti alla sua sfera affettiva, di essere adeguatamente informato su quello che realisticamente può attendersi in termini di qualità della vita e sulle possibilità cliniche di intervenire con l’aiuto delle cure palliative. Vengono in questo modo emarginati concetti come eutanasia e suicidio medicalmente assistito. La differenza tra i due termini è sottile ma convergono sullo stesso concetto: provocare il decesso tramite la prescrizione di farmaci che il paziente somministra a se stesso oppure la predisposizione di sistemi dove la presenza medica è necessaria affinché il paziente stesso inneschi una serie di reazioni che si concludono con la somministrazione di farmaci letali.