Per una società più inclusiva

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Domenica 26 settembre la 107^ Giornata mondiale del migrante e del rifugiato

Domenica 26 settembre la Chiesa celebra la 107^ Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che ha come tema “Verso un noi sempre più grande”. L’immagine scelta è quella del giorno del “battesimo” della Chiesa a Pentecoste, «della gente di Gerusalemme che ascolta l’annuncio della salvezza subito dopo la discesa dello Spirito Santo».

In questa nuova fase dell’emergenza sanitaria, Papa Francesco richiama l’attenzione sul rischio del sentimento di superiorità e di isolamento, in cui si evita di riconoscere un’umanità condivisa ma, al contrario, si favoriscono i movimenti verso la separazione («noi non siamo come loro») e l’isolamento, compromettendo il possibile sostegno solidale. In questo scenario, il messaggio del Papa comprende un forte appello a promuovere una società più inclusiva.

Per sostenere il tema della Giornata, Francesco parte dall’orizzonte biblico del racconto della creazione (Gn 1,26-28) per arrivare alla rivelazione della nuova Gerusalemme (Ap 21,3), passando per la preghiera sacerdotale di Gesù (Gv 17,20-26). Nel ricorrere a questi testi biblici, sottolinea come la storia della salvezza vede un “noi” all’inizio e un “noi” alla fine, e al centro il mistero di Cristo, morto e risorto, «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Per indicare un orizzonte nel cammino dell’umanità nel messaggio sono evidenziati sei sotto-temi che sono: “Un noi grande come l’intera umanità”; “Un’unica Chiesa, un’unica casa, un’unica famiglia”; “Una Chiesa che esce all’incontro”; “Imparare a vivere insieme”; “Formare un noi che ha cura della casa comune” e “Sognare come un’unica umanità”.

Il racconto sacerdotale di Genesi 1,1-2,4, citato nel messaggio, presenta un’antropologia del tutto positiva, in cui è possibile constatare un noi all’inizio. Nel creato soltanto l’essere umano riceve una particolare ed esclusiva eredità, quella di essere immagine e somiglianza di Dio, cioè dotato d’intelligenza, volontà e potenza, che gli consente di entrare attivamente in relazione interpersonale con Dio e con gli altri esseri (Sal 8). Papa Francesco ricorda l’ideale della nuova Gerusalemme in cui tutti i popoli alla fine si troveranno uniti come un grande noi, in pace e concordia per celebrare la bontà di Dio e le meraviglie del creato. La nuova Gerusalemme sarà libera dalle dominazioni, della sofferenza, del dolore e della violenza. Dio pianterà la sua tenda in modo definitivo in mezzo al suo popolo: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio» (Ap 21,3). L’immagine della tenda e di Dio che abita in mezzo al suo popolo è molto significativa se teniamo presente che il Signore ha scelto di stringere alleanza con un popolo nomade, peregrino, migrante. Dal momento che il popolo ha preso possesso della terra, le tende sono state sostituite con le case. Dio si fa contrario alla stabilità, ad essere fisso, racchiuso, statico e sedentario. La tenda è l’immagine della dimora preferita da Dio, uno spazio che si può allargare sempre di più per fare entrare e accomodare un noi che abbraccia tutta l’umanità.

Per raggiungere l’ideale della nuova Gerusalemme «dobbiamo impegnarci per abbattere i muri che ci separano – puntualizza Francesco – e costruire ponti che favoriscano la cultura dell’incontro, consapevoli dell’intima interconnessione che esiste tra noi». In questa prospettiva, «le migrazioni contemporanee ci offrono l’opportunità di superare le nostre paure per lasciarci arricchire dalla diversità del dono di ciascuno. Allora, se lo vogliamo, possiamo trasformare le frontiere in luoghi privilegiati di incontro, dove può fiorire il miracolo di un noi sempre più grande».

Daniela Catalano

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