Non è la solita zuppa

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di PATRIZIA FERRANDO

Una zuppa fumante: la visione, prima ancora del gusto confortante, di un piatto caldo, con ingredienti considerati robusti, stanno tra le immagini di un inverno piacevole. Anche il calendario ha rilevanza per il galateo, non solo perché servire cibi e utilizzare oggetti inadatti al momento dell’anno risulta poco elegante, soprattutto poco attento ai bisogni e alle aspettative dei commensali: a tavola s’incontrano significati simbolici, a partire da colori e consistenze, e rimandi storici che completano un quadro non casuale. Le zuppe intercettano il gusto di molti, eppure talvolta si esita a cucinarle per qualche invito, reputandole “difficili”. Esiste il modo corretto di mangiare una zuppa o una minestra? In particolare, è concesso inclinare il piatto per poterla finire? La posata da utilizzare è ovviamente il cucchiaio. Si porta alla bocca dalla punta per le minestre più dense e dal lato per quelle brodose (evitando i risucchi, ça va sans dire). Zuppe e minestre si raccolgono partendo da noi e andando verso il centro della tavola e come sempre non si soffia sul cucchiaio colmo. Meglio raccogliere piccole quantità di minestra e attendere qualche istante prima di portarle alla bocca. In deschi formali il piatto non si inclina mai, se in cene informali e in famiglia non si vuol perdere nemmeno un goccio di una stupefacente minestra, il piatto può essere inclinato verso l’interno del tavolo in modo che il retro della stoviglia sia rivolto verso di noi e mai verso il commensale che sta dinanzi. Vale la regola del non soffiare, però non si manovrano i piatti e tantomeno si usano i cucchiai mangiando l’altro principe dei primi fumanti, il risotto, che si gusta senza deroghe con la forchetta. Attribuire al risotto un titolo nobiliare non è solo riferimento al suo ruolo di spicco sulle tavole. Forse non tutti sanno che il “risotto alla milanese” fu inventato da Leonardo da Vinci; tale ispirazione venne a Leonardo mentre stava dipingendo il Cenacolo, realizzato fra il 1494 e il principio del 1498, quando Leonardo aveva 46 anni, e non di rado contribuiva con singolari trovate ai banchetti nobiliari. Fu proprio in quella circostanza che il grande genio pensò di usare la polvere di zafferano, ben nota ai pittori per le proprietà coloranti, non solo per dipingere ma anche per cucinare il riso, per farne un risotto. Se quel giorno nacque il risotto giallo e speziato, a dare fama al cibo meneghino per antonomasia furono gli operai e gli artigiani che lavoravano all’interminabile costruzione del Duomo di Milano (inizio lavori 1386 – completamento 1932), i quali ricevevano come vitto un piatto di risotto presto detto “alla milanese”.

patrizia.marta.ferrando@gmail.com

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