Mutatis mutandis, re Giorgio

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di Silvia Malaspina

Caro Giorgio Armani, mi è sovvenuta questa locuzione latina, che potrebbe dar luogo a ironiche e maccheroniche traduzioni, leggendo una tua affermazione riportata dal Corriere della Sera: “Quando creo la mia moda penso sempre a donne che posso incontrare ovunque. Penso a donne coerenti con il loro volto. Continuiamo ad accettare tutti, ma io non ci sto. Io sono stufo di vedere una matta che gira in mutande in via Montenapoleone a Milano. Donne trasformate in un oggetto del desiderio e se c’è un 50% degli uomini che le ama così, c’è un 50 che dice di no”. Hai colto, ahimè, nel segno: quanto spesso ci capita di vedere donzelle abbigliate con francobolli di stoffa, sfoggiando orgogliosamente l’artiglieria pesante di cui sono carrozzate, di modo che, di loro, si noti e ci si ricordi solo quella? Davvero ciò che si può provare di fronte alla femminilità si riduce al mero desiderio? Non è più affascinante un abito che cada a pennello e che lasci “intuire” invece di “esibire”? Non sono una bacchettona, tutt’altro, semplicemente mi sembra che, archiviato ormai da anni il comune senso del pudore, ora abbiamo perso di vista anche il buon gusto. Quindi, caro Giorgio, è stata per me una boccata d’aria fresca vedere online la sfilata della tua collezione autunno-inverno durante l’ultima settimana della moda di Milano: un messaggio di grazia e di speranza, connesso all’energia e alla forza della natura. Il motivo dominante sono i fiori che sbocciano anche nel pieno della stagione fredda, annunciando bellezza e ricrescita, e che si posano sugli abiti sottolineando quelle forme aeree e fluide e quel senso di eleganza armonica che ti hanno fatto meritare il titolo di “re Giorgio”. Ti seguo con devozione immutata dal 1981, anno in cui iniziai a risparmiare le paghette (e a fare qualche cresta sulla spesa) per poter acquistare varie paia di quei jeans Emporio Armani che, sopravvissuti indenni ai repulisti, oggi sono orgogliosamente indossati da mia figlia e invidiatissimi dalle sue amiche. Credo che abbiamo bisogno che qualcuno ci ricordi che gli eccessi non pagano, e che nemmeno il cosiddetto mondo dell’effimero non è tutto bianco o nero, ma che esiste una tonalità calda e sobria, che si avvicina al grigio ma non è scontata: è il greige che tu hai inventato, discreto, sofisticato e naturale. Sarebbe bello per gli sguardi di tutti noi se, mutatis mutandis cambiato tutto ciò che va cambiato – cioè, nello specifico, mutato il trash in semplicità, mettessimo in pratica il tuo mantra: “l’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”.

silviamalaspina@libero.it

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