L’amore è eterno finché dura?

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di Silvia Malaspina

In prossimità della ricorrenza di San Valentino, festa degli innamorati, mi è sovvenuto il titolo di questo film agrodolce di Carlo Verdone, che mi ha portato a riflettere sulle modalità con le quali noi donne prima sogniamo e poi viviamo l’amore, ricordando le vicissitudini amorose delle mie coetanee (ed anche personali).

La mia generazione è cresciuta con le “Fiabe sonore”: prima ancora di imparare a leggere, ascoltavamo il 45 giri narrare la favola di Aurora, bellissima principessa, addormentata da un maleficio nel fitto della boscaglia e risvegliata dal «bacio del vero amore», schioccatole da un biondo principe di azzurro vestito… naturale che, marchiate da un imprinting così sovradimensionato, raggiunta la prima giovinezza, le scelte amorose si rivelassero spesso assai deludenti! Abbiamo, infatti, fantasticato che un prode cavaliere senza macchia e senza paura ci issasse sul proprio bianco destriero, proiettandoci in un idillio senza fine: non ci siamo rese conto che, più che ai principi, avremmo dovuto aspirare ai ranocchi, meno incantatori, ma più affidabili.

Qualcuna è in effetti convolata a nozze con il principe azzurro, ma il finale è stato molto diverso dal «e vissero per sempre felici e contenti!, mentre la maggior parte di noi, conquistata l’età della consapevolezza, ha rapidamente spalancato le palpebre, abbandonando Aurora e il blasonato consorte al loro utopistico destino.

L’ineluttabile schema si ripete anche oggi: le giovanissime, seppur più disincantate rispetto al passato, hanno svenevolmente sognato sulla struggente saga d’amore del vampiro Edward e della mortale Bella, snodatasi in ben quattro libri ed altrettanti film. Quale saggio consiglio potremmo quindi offrire loro, che stanno per essere colpite dagli inesorabili dardi di Cupido?

Di certo non potremo raccontare che la vita di coppia scorra sui binari diritti dell’alta velocità e che non venga mai imboccato alcun tunnel; d’altra parte esagerare con il realismo rischia di snaturare l’incantata poesia dei primi afflati amorosi. Dovremmo forse portare ad esempio il buon vecchio Catullo che, se da un lato invoca estasiato «Da mihi basia mille», dall’altro si scaglia con risentimento e livore verso la donna amata, rea di non ricambiare la sua appassionata devozione: sono le due eterne facce della stessa medaglia e sarebbe bene prendere coscienza dell’esistenza di entrambe. Giustamente per San Valentino ci siamo abbandonate al romanticismo, ai fiori, ai cioccolatini a forma di cuore, alle cenette a lume di candela (quest’anno, forse, ai pranzi), ma risulta saggio non misurare i sentimenti con tali zuccherosi para

metri: ognuno di noi spera che l’amore sia eterno, ma più che illuderci di poterci amare come il primo giorno, scegliamo ogni giorno di amarci.

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