La prima esenzione monastica della storia

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Il 23 novembre la Chiesa ricorda san Colombano. Ripercorriamo una vicenda che lo riguarda e nasce da una disputa tra il vescovo di Tortona e l’abate di Bobbio

DI DON MAURIZIO CERIANI

San Colombano giunse in Italia nel 612, nell’ultima fase della sua intensa, feconda e poliedrica vita di monaco, missionario, predicatore, fondatore. Veniva da Oltralpe e da un pericoloso contrasto con la corte burgunda che lo aveva espulso dal regno. Si pose sotto la protezione del re longobardo Agilulfo e della regina Teodolinda, ottenendo la possibilità di creare un nuovo centro di vita monastica. Il luogo prescelto fu Bobbio, nella selvaggia Val Trebbia, allora giurisdizione del vescovo di Tortona, dove Colombano giunse nell’autunno del 614 con il discepolo Attala. Riparò l’antica chiesa di san Pietro e vi costruì attorno delle strutture in legno, che costituirono il primo nucleo della futura abbazia di san Colombano. Sedeva allora sulla cattedra di san Marziano il suo successore Procolo o Probo, secondo diverse dizioni, che alcune liste dei vescovi tortonesi indicano come santo. La situazione religiosa del Nord Italia all’arrivo di Colombano era estremamente complessa: nelle vallate più lontane dai centri urbani resistevano ancora sacche di paganesimo, mentre nel restante territorio il cristianesimo si declinava nella sua forma cattolico-romana, nel cattolicesimo scismatico tricapitolino (a cui afferiva la regina Teodolinda con il figlio Adaloaldo) e nell’arianesimo (professato dal re Agilulfo e dalla maggioranza delle elites militari longobarde). L’intero Nord Italia dovette sembrare al monaco irlandese come una nuova sfida evangelizzatrice.

Bobbio e Tortona ai ferri corti

Non abbiamo documenti che attestino la partecipazione del vescovo di Tortona alla fondazione del cenobio di Bobbio, mentre lo è la donazione regia della chiesa di san Pietro a opera di Agilulfo nel 613; dello stesso anno sarebbe anche la donazione del monte Penice al monastero da parte di Teodolinda, come testimonia il diploma del figlio Adaloaldo riconducibile al 622, che narra della visita della madre sul monte. Dopo la morte di Colombano, avvenuta nel 615, i rapporti tra la Chiesa tortonese e gli abati suoi successori non furono sempre sereni; non mancarono nemmeno autentici scontri, finché nel 628 l’abbazia di Bobbio ottenne da Papa Onorio I l’esenzione da ogni giurisdizione vescovile. A san Colombano succedette sant’Attala come secondo abate del cenobio bobbiese, dandogli notevole impulso; infatti l’abbazia si ampliò sia come struttura sia come numero di monaci, dalle provenienze più diverse, soprattutto irlandesi, francesi e germanici. Fra i nuovi ingressi vi fu il monaco Giona da Susa, entrato nel 618, futuro biografo di san Colombano, del monastero e della storia di Bobbio.

L’abate san Bertulfo contro il vescovo san Procolo

San Bertulfo o Bertolfo, di nobile famiglia forse burgunda e parente di sant’Arnolfo vescovo di Metz, fu accolto nel monastero di Bobbio da sant’Attala e gli succedette come abate nel 627. La sua elezione avvenne con voto unanime dei monaci, ma vide l’opposizione del vescovo di Tortona Procolo nella cui diocesi si trovava il monastero di Bobbio: il vescovo, che non era stato previamente consultato circa la candidatura di Bertulfo, e che forse non era nemmeno stato informato ufficialmente dell’avvenuta elezione, vide in essa una violazione dei suoi diritti giurisdizionali. Perciò, con l’appoggio degli altri vescovi della regione e, perfino, di alcuni alti dignitari di corte, portò la questione davanti al re dei Longobardi, Arioaldo, perché la risolvesse d’autorità, nonostante la sua appartenenza allo scisma capitolino. Il re chiese ai rappresentanti di Procolo che provassero ecclesiastico iure la tesi, secondo la quale i monasteri sarebbero stati sottoposti alla giurisdizione vescovile; agli inviati di Bertulfo si limitò a rispondere ambiguamente che mai avrebbe favorito chi avesse sollevato difficoltà contro un uomo di Dio. Abbiamo notizie coeve della controversia tra vescovo e abate dagli scritti del monaco Giona che stese le Vitae Columbani abbatis discipulorumque eius, una fonte interessante ma marcatamente di parte bobbiese, dalla quale non emerge una visione serena dei fatti. Procolo infatti viene descritto in modo negativo e gli viene pure attribuita una corruzione in denaro per portare dalla sua parte gli altri vescovi interessati, mentre il re Arioaldo viene presentato molto benevolo verso i monaci e la loro indipendenza. Di fatto la benevolenza del re longobardo nasceva più da un interesse politico, che era quello di avere un potente alleato ai confini meridionali del regno, verso la Liguria, allora ancora sotto il controllo bizantino; tuttavia il suo atteggiamento oggettivamente fu di non urtarsi con nessuna delle parti in causa, come emerge anche dal testo del monaco Giona, che riporta la medesima risposta del re alle due parti: “Non meum est sacerdotum causas discernere”.

Papa Onorio I dirime la questione

Lo stesso Bertulfo offrì ad Arioaldo la via d’uscita. Chiese infatti al re il permesso di recarsi a Roma, per sottoporre la questione alla Sede Apostolica, e di fare il viaggio suplimento publico, a spese cioè della Corona. Arioaldo rispose facendo consegnare all’abate il denaro necessario al viaggio per lui e i suoi accompagnatori, tra i quali vi era il biografo Giona. I monaci vennero accolti assai onorevolmente da Onorio I, il quale volle conoscere a fondo i termini della vertenza, non solo, ma anche i particolari della regola secondo cui viveva il monastero di san Colombano; quindi, con la Bolla Si semper sunt dell’11 giugno 628 concesse a Bertulfo un privilegio in cui riconosceva all’abbazia di Bobbio la più ampia immunità ed esenzione da ogni giurisdizione vescovile. Questo testo sarebbe stato il modello delle successive bolle di esenzione dei monasteri. Il Pontefice però, forse preoccupato che il benevolo atteggiamento di Arioaldo riducesse l’azione pastorale dei monaci a favore del credo niceno e della sede romana, esortò l’abate a proseguire la predicazione antiariana e antipagana sino ad allora condotta dal suo cenobio. Senza entrare nella disputa tra gli storici sulla originalità del decreto di Onorio a noi pervenuto, ricordiamo che il testo fu ripreso e precisato da Papa Teodoro I, in una bolla del 643. Con Bertulfo si chiude la fase tortonese della fondazione di san Colombano. Successivamente, nel 1014, con l’erezione della diocesi di Bobbio a opera dell’imperatore sant’Enrico II e di Papa Benedetto VIII, il monastero si trasformò in sede vescovile e la diocesi di Tortona perse l’intero territorio dell’Alta Val Trebbia, al di là del Penice. Tuttavia, nonostante la fattispecie delle vicende storiche che caratterizzarono i rapporti tra Tortona e Bobbio, la liturgia del cenobio bobbiese accolse e venerò con devozione i santi tortonesi Marziano e Innocenzo.

Nell’immagine: San Bertulfo, terzo abate di Bobbio

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