La “buona morte”

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di Maria Pia e Gianni Mussini

Eutanasia: nell’accezione invalsa nella mentalità contemporanea indica una morte “dolce”, scelta volontariamente quando ci si trovi in gravi condizioni di salute per abbreviare o evitare la fase più dolorosa della malattia e della vita. Una morte che darebbe maggiore dignità all’individuo, non costretto a subire un declino segnato dalla sofferenza e dal degrado, e che insieme esalterebbe la sua libertà nel decidere se sia bene o male vivere. Detta così, sembrerebbe una logica indiscutibile: perché soffrire quando non c’è più possibilità di cura? Perché pesare su chi ci deve assistere? Perché, soprattutto, mettere a nudo la propria debolezza, mostrarsi fragili e bisognosi, lasciando che la malattia abbia la meglio su di noi?

Gianni e Maria Pia hanno un’età che consente loro di ricordare un altro significato di eutanasia: la “buona morte” (questa è l’etimologia) intesa però come grazia da chiedere al Padreterno, alla Madonna, a San Giuseppe – il patrono dei morenti – per affrontare con il giusto spirito il passaggio definitivo della vita: una grazia da invocare ogni giorno per sé e per le persone care che non siano più in grado di farlo autonomamente. Era questa una preghiera comune un tempo, anche se forse oggi se ne sono un po’ perse le tracce.

Infatti, quanto è più rasserenante pensare a un viatico di preghiere e affidamento a Chi ci accoglierà a braccia aperte, piuttosto che a un gelido protocollo medico che – al di là di un’auspicabile professionalità – non sa però accompagnarci a guardare l’infinito! Perché proprio per l’infinito è fatto l’uomo e a questo aspira, anche quando non vuole ammetterlo.

Un senso di amarezza è dunque inevitabile, se si pensa che in breve tempo si è raggiunto e superato il numero di firme necessarie per un referendum che depenalizzi l’eutanasia (intesa nella sua moderna accezione, naturalmente). Sarebbe così possibile cooperare attivamente alla morte di qualcuno che lo richieda. L’amarezza è accentuata dal fatto che molti tra i firmatari sono giovani, forse illusi (ingannati?) dall’idea che la vita sia una cosa di nostra proprietà e che abbiamo su di essa ogni diritto.

Al di là di questioni tecniche e giuridiche (su cui di recente è intervenuto su Avvenire il professor Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale), non c’è da farsi abbattere. Gianni e Maria Pia hanno combattuto tante battaglie sul fronte della vita e, se non tutte le hanno vinte, è pur vero che ciascuna di esse ha lasciato una bella scia di carità. Perché sostenere la vita sostiene la vita, come dimostrano i tanti bambini sottratti all’aborto e le tante nuove mamme felici che hanno incontrato.

Sarà così anche in questo caso, quando ci sarà da rimboccarsi le maniche non tanto e non solo per vincere un referendum, ma per mettere in luce ancora una volta che la vita è un dono: ci è regalata con generosità, ma non ne siamo padroni.

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