Ilva: ci sarà un lieto fine?
Di Cesare Raviolo
Si scrive Ilva, oggi si legge acciaio, ma quando fu costituita, nel 1905, il riferimento era l’antico nome latino dell’Isola d’Elba con le sue miniere di ferro; sono 120 anni di storia e circa 12.000 posti di lavoro, non solo a Taranto e a GE-Cornigliano, ma anche nella “nostra” Novi Ligure (550) e nella cuneese Racconigi (87). In questi impianti i coils, cioè i rotoli di acciaio che arrivano dall’altoforno pugliese, vengono lavorati e trasformati in laminati piani e lamiere zincate. Le origini dello stabilimento novese risalgono al 1912 con la costituzione della Società Anonima Ferriera di Novi Ligure, che disponeva di un forno per il riscaldo del ferro, di un laminatoio per profilati medi e piccoli e, in seguito, di due forni MartinSiemens. La subentrata Società Acciaierie e Ferriere, nel primo dopoguerra, registra difficoltà finanziarie che, acuite dalla crisi del 1929, causano la messa in liquidazione dell’azienda e, nel 1931, il passaggio del complesso produttivo all’Ilva Alti Forni e Ac- ciaierie d’Italia, attiva da inizio ’900, in seguito alla fusione di Siderurgica di Savona, Ferriere Italiane e Società Elba. Quando, nel 1933, nasce l’Iri, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, anche l’Ilva passa sotto il controllo statale in Finsider, la finanziaria che operava nel settore siderurgico. Il processo di riorganizzazione aziendale concentra a Novi Ligure buona parte dell’attività di laminazione di lamiere e profilati che in precedenza faceva capo agli stabilimenti liguri dismessi. L’impianto novese, che nel 1976 contava 2.387 addetti, rimane nell’ambito delle partecipazioni statali fino al 1995 allorché, in seguito al processo di privatizzazione delle imprese pubbliche, viene ceduto, unitamente al centro siderurgico di Taranto e al complesso di Genova Cornigliano, al gruppo Riva. La gestione Riva è fallimentare tanto che, dopo un periodo di amministrazione straordinaria, lo stabilimento viene venduto al colosso franco-lussemburghese-indiano ArcelorMittal, che nel 2019 ha comunicato l’intenzione di recedere dal contratto. Nella proprietà è subentrata l’agenzia governativa Invitalia, mentre ArcelorMittal Italia è diventata Acciaierie d’Italia. Ora, il futuro dell’Ilva a Novi, come negli altri stabilimenti, è legato alla politica industriale che il Governo intende mettere in atto; il rischio che il nostro colosso dell’acciaio faccia la fine di Fiat (finita all’olandese Stellantis), Magneti Marelli (Giappo- ne e USA) e Iveco (indiana Tata) c’è. Per la sua lunga, articolata, onorevole storia (ma non solo), tutti auspichiamo un lieto fine.
raviolocesare [at] gmail.com

