Il Rinascimento dei piccoli borghi ora è possibile

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La crisi e la pandemia portano a rivalutare i nostri paesi che hanno patito lo spopolamento. Dove il virus non è arrivato e dove molti si sentono più al sicuro

La Visita pastorale del Vescovo Vittorio, fino alla sua sospensione a causa del Coronavirus, ci ha elargito tanti doni. La parola del Vescovo innanzitutto e attraverso la sua quella del Signore, la gioia delle relazioni tra uomini e donne che vogliono sentirsi Chiesa (quanto tutto questo ci è mancato nei lunghi giorni della quarantena!), la constatazione che è ancora viva la fede nelle nostre terre, la laboriosità della nostra gente, il desiderio di farsi prossimo nelle tante e ricche esperienze di volontariato civile e religioso. Ma non solo. La Visita pastorale ci ha confermato che la nostra Diocesi, dai confini con l’Emilia Romagna fino alle alture dell’Antola in Liguria, passando da Lombardia e Piemonte, è straordinariamente ricca di piccoli borghi che racchiudono tesori artistici, paesaggistici, culturali di grande valore. Non c’è vicariato fin qui visitato da Mons. Viola che non ne abbia. Un patrimonio inestimabile che, per certi versi, la pandemia ha spronato a riscoprire, soprattutto guardando al futuro e che ci fa affermare che la ripresa del Paese passerà anche da queste piccole località. Un esempio? Non basta andare lontano, è sufficiente rimanere a casa nostra, precisamente a Pentema. Siamo nel comune di Torriglia, nella parte ligure della diocesi, in provincia di Genova, nel Parco regionale dell’Antola, raggiungibile grazie a una tipica strada di montagna. Pentema, da 25 anni, assurge agli onori della cronaca durante le feste natalizie a motivo dello straordinario e unico Presepe ambientato all’interno del paese, tra gli archi, i vicoli, le case e le aie ancora intatti. Ricorda un’epoca storica lontana, attraverso un’attenta ricostruzione di ambienti e mestieri con i suoi personaggi a grandezza naturale, vestiti con costumi d’epoca, impegnati in momenti di vita quotidiana e inseriti nei punti del borgo dove realmente hanno operato. Quest’anno però, complice il Covid-19, Pentema ha fatto parlare di sé a livello nazionale anche pochi giorni fa. Dalle colonne di Repubblica abbiamo appreso che, dalla fine di febbraio, ai sei abituali abitanti “fissi” se ne sono aggiunti dodici “temporanei” che hanno scelto di trascorrere il lockdown in questa piccola “perla” dell’entroterra ligure. Si tratta perlopiù di pensionati genovesi che qui hanno casa e che sono “fuggiti” dalla città con i nipotini. Sono le storie che accomunano Nadia, Rita e altri che trascorrono le giornate tra pizze e torte fatte in casa, passeggiate e aria pura. Con la regola del distanziamento.

«Qui si sta meglio, – dicono – siamo più tranquilli. Riscopriamo il piacere di una vita meno frenetica e speriamo anche che fin quassù il virus non arrivi, ma soprattutto cerchiamo di vivere questi giorni con la serenità che solo questo borgo può regalarci».

Sono 5.500 i borghi di piccole e piccolissime dimensioni sparsi nella penisola che sono forse la tipicità del nostro Paese. Un’Italia a torto considerata “minore”, fatta di una varietà incredibile di arte e cultura, di natura, di saperi, di tradizioni, di colori e di sapori. Un Italia “vera”.

Questi luoghi, però, negli ultimi anni hanno vissuto sulla loro pelle una crisi diremmo epocale a causa di un altissimo tasso di spopolamento, soprattutto nelle località montane. Un fenomeno già iniziato negli anni Novanta e Duemila, ma che nell’ultimo decennio si è accentuato ulteriormente. I giovani, per lavoro, sono costretti a trasferirsi nelle città e nei piccoli centri arroccati su colline e montagne rimane una popolazione sempre più anziana e sempre più sola. Abbandonata a se stessa. Con la politica che fin qui ha dimostrato poca attenzione a queste zone del Paese. Nonostante dal 1952 la legge Fanfani sulla bonifica montana – la 991 – abbia istituito misure di aiuto alle comunità delle aree interne e un altro provvedimento del 1994 l’abbia confermata e nonostante nel 2012 sia stata avviata la Strategia nazionale per lo sviluppo delle Aree interne, è fin qui mancato un serio piano di investimenti nazionali per arrestare e invertire la tendenza all’abbandono delle colline e delle montagne. È un peccato e una delle tante gravi mancanze italiche. Anche perché proprio il famigerato Coronavirus almeno una cosa buona l’ha fatta, facendoci riflettere sul valore che questi borghi hanno.

Infatti, le cronache di queste settimane ci dicono che molte piccole comunità sono risultate indenni o marginalmente toccate dalla diffusione del virus. Ci sono paesi che a tutt’oggi fanno registrare zero contagi, veri e propri comuni “virus free”. Una situazione del tutto trasversale che riguarda l’intero Paese e anche le nostre zone. È un dato inconfutabile che nei piccoli borghi si vive meglio e si sta meglio affrontando l’emergenza da Covid-19. Influiscono la minore densità di popolazione, la bassa frequenza di contatti, la gestione dell’emergenza sanitaria agevolata da una governance spesso a dimensione quasi famigliare. Certo permangono forti criticità: la mancanza di una rete efficiente di comunicazioni internet (ad esempio la banda larga), i limiti sulle reti di trasporto ed energetiche. Sta di fatto comunque che in questi giorni di crisi sanitaria, i piccoli borghi d’Italia sono risultati più sicuri, più a misura d’uomo, capaci di vincere almeno in parte il dramma della mancanza di socialità. Sono risultati più umani.

E in futuro? Quando l’emergenza sarà passata cosa ne sarà di loro?

Ritorneranno nell’oblio?

Ci auguriamo di no. Che la politica e le istituzioni di competenza trovino una spazio adeguato nell’agenda che dovrà in qualche modo avviare la ripartenza del Paese, che può e deve passare anche attraverso il rilancio di queste piccole realtà territoriali. E non solo da un punto di vista – seppur molto importante – squisitamente turistico. In questi giorni si parla tanto di “turismo di prossimità”, di “vacanze di vicinanza”.

Ma i piccoli borghi hanno bisogno di progetti di rilancio strutturale ed economico di lungo respiro, di una visione lungimirante, non più di un approccio meramente assistenziale, di un sostegno che ponga seriamente le basi per un rilancio equo e sostenibile della campagna e della montagna. Se sarà cosi, il Coronavirus, con il suo carico di lutti e sofferenze, almeno qualcosa ce lo avrà insegnato.

Marco Rezzani

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