«Il “diritto a morire” viene dalla cultura dello scarto»

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46^ Giornata Nazionale per la Vita. Domenica 4 febbraio la Messa del vescovo. E i Centri di Aiuto alla Vita diocesani a Tortona, Castelnuovo Scrivia e Novi offriranno le primule, simbolo dell’evento. Intanto in Veneto è stato respinto il progetto di legge popolare per la legalizzazione del “suicidio medicalmente assistito”

DI MASSIMO GANDOLFINI*

Domenica 4 febbraio celebreremo la 46^ Giornata Nazionale per la Vita, istituita dalla Conferenza Episcopale Italiana – all’indomani della legge 194 che ha legalizzato l’aborto in Italia – con lo scopo di mantenere alti il valore e il principio del rispetto della vita umana, dal concepimento alla morte naturale. Il “messaggio” di quest’anno ha per titolo “La forza della vita ci sorprende”, con un sottotitolo tratto dal Vangelo di Marco: “Quale vantaggio c’è che l’uomo guadagni il mondo intero e perda la sua vita?”.

Il testo che segue ha il grande pregio di essere molto chiaro e sintetico, affrontando – fin dalle prime righe – tutti gli aspetti che, nel tempo in cui viviamo, si presentano come critici e pericolosi in ordine alla difesa della vita: “Sono numerose le circostanze in cui si è incapaci di riconoscere il valore della vita, tanto che si decide di metterle fine o si tollera che venga messa a repentaglio”.

Fermo restando che questa giornata nazionale, fin dal principio, ha lo scopo di ricordare che una legge che nega il “diritto alla vita” della più debole, innocente e indifesa delle creature, qual è il bimbo nel grembo materno, è una legge profondamente iniqua e ingiusta, oggi è opportuno puntare il riflettore della nostra attenzione su ciò che sta accadendo – a livello culturale, politico e legislativo – sul fronte opposto alla nascita: il fronte della vita al termine.

Pochi giorni fa il Consiglio Regionale del Veneto ha respinto (con una maggioranza risicata!) il progetto di legge popolare, proposto e patrocinato dall’associazione radicale “Luca Coscioni”, che dispone la legalizzazione del “suicidio medicalmente assistito” nel territorio veneto. Si rimane sconcertati e perplessi, sia sul metodo sia sulla sostanza di questa pericolosa iniziativa. Iniziamo dal metodo. L’associazione “Luca Coscioni” ha raccolto in Veneto 9 mila firme: già di per sé questo esiguo risultato rivela che il sentire comune delle persone ha uno scarsissimo interesse al tema e che non esiste alcuna urgenza sociale. Semmai, la vera urgenza e preoccupazione si pongono esattamente all’opposto del suicidio assistito. C’è preoccupazione per una sanità che lascia indietro proprio le persone più deboli, fragili, anziane, sofferenti e dipendenti da tutto e da tutti, spesso condannate all’indifferenza, come recentemente ci ha ricordato Papa Francesco, con la Lettera per la Giornata Mondiale del Malato: “Questa realtà è soprattutto conseguenza della cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più la forza di stare al passo. Diventa allora cultura dello scarto, in cui le persone… specie se povere o disabili, se ‘non servono ancora’ – come i nascituri – o ‘non servono più’ come gli anziani…” vengono eliminate, sfruttando il vergognoso alibi della “libera scelta”.

A riprova, non dobbiamo dimenticare che la Legge 38/2010, che dispone l’organizzazione delle Cure Palliative, residenziali (Hospice) e territoriali e domiciliari, è rimasta una sorta di “cattedrale nel deserto”, finanziata soltanto per il 30% delle effettive necessità. In concreto, ciò significa che migliaia di cittadini italiani, in condizioni di salute gravi o precarie, che potrebbero beneficiare di cure che affrontano la totalità della persona (e dei loro familiari) si vedono negato quel “diritto alla salute e alla cura” che l’articolo 32 della Costituzione sancisce e garantisce. Sostenere l’inesistente “diritto di morire”, allocando risorse finalizzate al suicidio medicalmente assistito, appare come un vergognoso atto di disinteresse (o peggio, di “scarto”) verso nostri concittadini e fratelli che chiedono aiuto. Aiuto a non essere abbandonati, ad essere “presi per mano”, a non essere considerati come peso insopportabile, nel loro viaggio attraverso la malattia fino alla morte.

In oltre 40 anni di professione ho imparato che la paura vera di ogni malato è di sentirsi abbandonato o scartato: camminando insieme, fino alla fine, anche la morte può essere affrontata, con dignità e umanità. Circa il merito della proposta di legge, va sottolineata la strumentalizzazione della sentenza 242/19 della Corte Costituzionale, quella che ha delineato il perimetro entro il quale sussiste la “nonpunibilità” di chi aiuta il suicidio di una persona (art. 580 C.P. – aiuto al suicidio).

In concreto, con quella sentenza la Consulta ha indicato le condizioni, sussistendo le quali, non è perseguibile chi avesse aiutato al suicidio, in deroga all’articolo 580 del C.P. Dunque, far derivare da questa sentenza la necessità di una legge che affronti “procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza 242/19 della Corte Costituzionale” – così recita il progetto presentato in Regione Veneto – appare come una grave strumentalizzazione e impropria forzatura.

I giudici della Consulta, più volte, hanno chiaramente espresso il loro ruolo di “giudici delle leggi”, non già di “autori delle leggi”. Non è compito di nessuno, al di fuori del Parlamento, comporre e scrivere leggi; non spetta a nessun consiglio regionale, né ad alcun altro organo amministrativo, comporre leggi. È molto strano che ci si sia dimenticati di quanto affermato proprio dalla stessa Corte con la sentenza 262/2016, in cui dichiarò incostituzionale una legge della Regione Friuli Venezia Giulia, che affrontava il medesimo tema: “Data la sua incidenza su aspetti essenziali della identità ed integrità della persona, una normativa in tema di disposizioni di volontà relative ai trattamenti sanitari nella fase terminale della vita, necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza, ratio ultima della riserva allo Stato della competenza legislativa esclusiva… disposta dalla Costituzione”.

E, già che ci siamo, vale ancora la pena di rischiarare la memoria, ricordando la sentenza 50/2022 con la quale, sempre la Corte, ha bocciato il referendum radicale per abrogare l’art. 579 C.P. (omicidio del consenziente): facendo riferimento alla sentenza 35/1997 e all’articolo 2 Convenzione Europea Diritti Umani (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950: è “dovere dello Stato tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire”.

La prossima Giornata per la Vita sia, dunque, occasione per un esame di coscienza, da parte di tutti, credenti e non credenti, per contrastare, senza tentennamenti e ambiguità, le derive ideologiche proprie della cultura della morte e dello scarto, perché “la vita, ogni vita, se la guardiamo con occhi limpidi e sinceri, si rivela un dono prezioso e possiede una stupefacente capacità di resilienza per fronteggiare limiti e problemi” (Paragrafo 2 del Messaggio 2024).

*Neurochirurgo e Psichiatra Presidente associazione “Family Day” 

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