Dal convento di Assisi al Covid Hospital

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Siamo tornati all’ospedale di Tortona per raccogliere un’altra testimonianza ricca di umanità, quella di frate Andrea Dovio, francescano e medico volontario che ha messo le sue competenze al servizio dei malati

Primo Covid Hospital d’Italia, salito agli onori della cronaca nazionale, l’ospedale di Tortona in queste settimane è stato al centro di tanti dibattiti ma ha anche saputo raccontare storie ricche di umanità, di sacrificio, di abnegazione. Ci siamo tornati perché, tra le altre, merita di essere custodita su queste pagine l’esperienza di Andrea Dovio, 44 anni, francescano, frate minore della Provincia Serafica dell’Umbria. Frate del convento Porziuncola di Assisi e medico internista, laureatosi a Torino, sua città natale, in cui successivamente ha conseguito il Dottorato e poi la Specialità in Medicina Interna, lavorando all’ospedale “San Luigi” di Orbassano fino a 32 anni di età, nel 2008, quando ha sentito che la sua vocazione era un’altra. Ma cosa ci fa padre Andrea oggi qui a Tortona?

Frate Andrea Dovio

La voce carica di vitalità, i modi gentili ma fermi, è lui a spiegarcelo in una intervista nella quale capiamo che, a motivo di un servizio verso i fratelli, la distanza tra l’Umbria e il Piemonte si accorcia, proprio come fu per il vescovo Mons. Vittorio Viola.

«Sono qui per amore del Signore Gesù, perché è dalle sue parole e dai suoi gesti che scaturisce la logica del servizio. In questo tempo di pandemia, come tutti i miei confratelli, ho avvertito l’esigenza di ripensare le mie attività per poter soccorrere chi aveva bisogno. Da subito, dalla seconda settimana di marzo, per me è stata forte la chiamata a rimettere a disposizione le mie competenze mediche per curare chi fosse nella malattia».

Frate Andrea è stato ordinato sacerdote ad Assisi da Mons. Domenico Sorrentino il 23 giugno 2018; ha vissuto gli ultimi cinque anni a San Damiano prima occupandosi del santuario e dopo come vice-maestro dei novizi, quindi alla Porziuncola dove tuttora è Segretario della Provincia. È passato molto tempo da quando ha smesso di esercitare la professione medica però non ha dimenticato nulla del suo lavoro prima di entrare in convento, né le conoscenze, né l’approccio al paziente. «Allo scoppio dell’emergenza mi sono domandato: come posso servire il prossimo? – continua –Ascoltando le cronache dell’epidemia e i reiterati appelli delle autorità politiche e sanitarie, ho avvertito da una parte tutta la forza delle parole del Codice Deontologico dei Medici che all’articolo 8 recita che “in caso di catastrofe, di calamità o di epidemia” il medico deve mettersi a disposizione, dall’altra un senso di solidarietà verso tanti amici e colleghi impegnati in prima linea, insieme col desiderio di aiutare la gente, il popolo di Dio, i malati, come ci hanno invitato a fare sia il Papa, sia il nostro Ministro provinciale. Del resto, la storia ha sempre visto i religiosi in prima linea nelle pestilenze, anche se sono consapevole che non siamo nel 1600 e certamente certi modelli oggi non sono riproponibili».

Frate Andrea, dunque, decide di scrivere al suo superiore, fra’ Claudio Durighetto, chiedendogli di accogliere la sua volontà di assistere i malati di Covid. «In un primo tempo pensavo alla Croce Rossa poi, conoscendo il vostro vescovo Vittorio e sapendo la situazione di Tortona, mi sono orientato verso questo ospedale».

Il Ministro provinciale il 2 aprile gli risponde così: «Dopo aver riflettuto a lungo (…) ti esprimo il mio consenso. Siamo davanti a una gravissima emergenza, che ha assunto i contorni della pandemia e che in Italia sta mietendo tante vittime e mettendo a dura prova le strutture e il personale della sanità. Chi può è bene che faccia la propria parte: noi come religiosi la facciamo prima di tutto con la preghiera e con l’offerta rinnovata della nostra vita consacrata, e poi lavorando fedelmente nei servizi che ci sono stati affidati. Evidentemente, nella misura in cui è possibile e nel rispetto delle norme di sicurezza, dobbiamo pure renderci disponibili esercitando attivamente la carità. Nel tuo caso, avendo delle competenze professionali del tutto particolari, sei in grado di offrire un aiuto davvero importante e significativo nel presente contesto».

Dovio non perde tempo. Grazie all’aiuto e all’interessamento di Mons. Viola parte alla volta di Tortona dove il 3 aprile è accolto dal commissario dell’ospedale Giuseppe Guerra. Segue un breve corso per imparare a usare i dispositivi di protezione individuale e il 4 aprile prende servizio al secondo piano del nosocomio, nel reparto in cui sono ospitati i pazienti – 20 in totale – in via di guarigione, che hanno superato la fase critica e non richiedono più ossigenoterapia. Tutti i giorni si reca in ospedale dove condivide il proprio lavoro con un altro medico volontario, Simone Veronese. La mattina lavorano insieme e al pomeriggio si alternano per 38 ore complessive che, però, diventano di più in caso di necessità.

Frate Andrea adesso risiede a Tortona, vive in un piccolo appartamento nel Seminario vescovile messogli a disposizione dal vescovo; vive da solo, isolato, evitando prudenzialmente contatti al di fuori dell’ospedale. È consapevole della sua scelta. «All’inizio anch’io sentivo qualcosa che mi frenava – confessa – ma ho cercato, con discernimento, di capire quale fosse la volontà del Signore. I freni erano tre: la paura di essere contagiato, anche se so che la mortalità è statisticamente bassa nella mia fascia di età; il timore di tornare a svolgere la professione in un ambito, l’infettivologia, che non è il mio; la preoccupazione di rientrare a lavorare in un mondo complesso e in una situazione che non conoscevo». Ora il dottor Dovio è ben felice di aver ascoltato quella chiamata, tanto che prolungherà la sua permanenza a Tortona fino al 15 maggio.

Gli rivolgo, infine, una domanda interpretando la curiosità dei lettori: i suoi pazienti sanno che lei è un frate e, oltre alle cure, porta loro anche un conforto spirituale? «Io sono qui per fare il medico, questo va subito chiarito. Per un altro tipo di sostegno, importante e fondamentale, c’è chi fa le veci del cappellano, cioè don Pietro Sacchi, che è bravissimo. I colleghi sanno che sono un frate e con alcuni pazienti, con i quali si è instaurato un certo dialogo, ne parlo con gioia. Mi è capitato di toccare argomenti di fede soprattutto con alcuni pazienti colpiti dalla morte di un congiunto, situazione non rara in questo tempo di epidemia. Però il mio lavoro mi assorbe molto e devo farlo con la giusta libertà, senza creare confusione tra i due piani. Trovo illuminante ciò che Francesco ha scritto nella Regola non bollata, al capitolo XVI, parlando della missione dei frati. È interessante come Francesco riconosca due modi diversi di rendere testimonianza: “Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo”».

Il racconto di frate Andrea continua tra le corsie del suo reparto, curando i suoi malati.

A noi resta da non disperdere un prezioso esempio di volontariato. Ma prima il dottor Dovio vuole rivolgere alcuni ringraziamenti: «La mia gratitudine va anzi tutto alla Provincia Serafica dell’Umbria, che fin dall’inizio si sta prodigando in tanti modi per sostenermi e non farmi sentire solo; a Mons. Vittorio per ciò che ha fatto e per la sua ospitalità e infine ai colleghi dell’ospedale che mi hanno accolto con tanta cordialità e generosità, e mi danno quotidianamente un esempio di professionalità e dedizione».

Non c’è dubbio, del resto, che tra le cose pur positive che l’epidemia ha messo in luce, c’è anche un rinnovato spirito di collaborazione tra il personale sanitario.

Una sicura speranza per il futuro.

Matteo Colombo

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