Contro tutte le guerre, lo scudo lucente della poesia

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Da Leone XIV alla presenza dei poeti, nessuna strada verso la pace resti inesplorata

Di Luigi Maruzzi

A volte occorre mettersi dalla parte di chi non crede o crede in qualcosa di diverso oppure è in cammino alla ricerca di conferme. Tanto per cominciare, mi sono domandato come reagirebbe un ateo di fronte alla richiesta di digiunare per un gior- no intero che Papa Leone XIV ha rivolto a tutti i fedeli della Chiesa cattolica nel mese di agosto. Non ha detto di astenersi dal mangiare un certo cibo o dal bere una certa bevanda, ma ha parlato di digiuno assoluto. Un sacrificio scollegato dal calendario liturgico, che peraltro non ammette interpretazioni, un gesto concreto ma dal contenuto altamente simbolico che permette a noi cristiani di presentarci semplicemente come abitanti temporanei della terra in cerca di una dimensione universale. Questa preghiera in forma di digiuno salirà in alto, si allontanerà da noi che l’abbiamo espressa e – se non sarà sincera – si perderà come uno dei tanti palloncini che siamo soliti lanciare in aria quando festeggiamo il compleanno dei bambini o desideriamo protestare contro qualche ingiustizia. In altre parole, se non vuole trasformarsi in una specie di message in a bottle che verrà raccolto da posteri sconosciuti o più probabilmente finirà nella discarica delle buone intenzioni, la speciale preghiera cui ci invita il Papa ha bisogno della massima fiducia nel Dio al quale rimettiamo la nostra impotenza. Una testimonianza di immediata comprensione di cosa possa significare prendersi carico del problema che colpisce una moltitudine di persone, mettersi a capo di tutti coloro che si sentono prostrati a causa delle sofferenze fisiche e mentali patite, e presentarsi come leader spirituale, è stata quella offerta nel 2020 da Papa Francesco: solo, attraversava una piazza San Pietro totalmente vuota, sicuro che il dio di Mosè, il padre di quel Gesù crocifisso in ostensione, avrebbe ascoltato la sua preghiera. Una fede matura, lontana da qualsiasi tentazione sciamanica, quella che sa parlare a chiunque, lo coinvolge spingendolo prima a scandagliare la propria coscienza e poi a ricercare la condivisione degli altri per intraprendere azioni concrete in prima persona. La fiducia che nutriamo nel nostro Dio cammina di pari passo con la fiducia riposta nei nostri simili. Continuando a utilizzare un linguaggio ai confini della religione, potremmo dire che sta a noi il compito di individuare il leader giusto perché, purtroppo, nel corso della storia abbiamo dimostrato più volte un elevato tasso di fallibilità con conseguenze disastrose.

La preghiera, dunque, se vista in tutta la ricchezza dei suoi significati, potrebbe portare alla pace i popoli belligeranti. In questo senso, il digiuno finisce per rappresentare una forma inequivocabile di vicinanza verso coloro che – senza colpe individuali – da troppo tempo vedono allontanarsi la garanzia di sopravvivere per scarsità di cibo. E la poesia? Cosa può fare la poesia oggi contro un livello di conflittualità così esasperato? Io credo che la poesia potrebbe aiutarci a ricordare che proveniamo tutti dallo stesso giardino dove l’armonia del creato incoraggiava la specie umana a custodire la pace come bene supremo. Tanta parte della poesia da secoli non fa altro che esprimere lo stesso concetto, per nulla riducibile alla nostalgia intesa come tentativo di consolazione per qualcosa che abbiamo irrimediabilmente perduto. Il merito della poesia invece è quello di suscitare in ogni essere il desiderio di dare vita a un nuovo mondo nel rispetto del creato, un desiderio che non può rimanere allo stadio di semplice anelito ma deve trasfondersi nella realtà effettuale. E vivere in pace fra tutti i popoli segna l’orizzonte cui bisogna orientare il nostro sguardo. Tutto questo potrebbe sembrare utopia se confrontiamo le forze da fronteggiare. Da una parte, l’abnorme investimento per ingegnerizzare tecniche di distruzione degli uomini e delle loro città; dall’altra, la diffusione di atteggiamenti di insensibilità verso le popolazioni colpite dalla fame e dalle fragilità sanitarie. Se poi pensiamo di sventolare il vessillo bianco delle parole (unica arma della poesia) credendo di erigere un muro a difesa di vere e proprie carneficine e devastazioni di interi territori, rischiamo di essere classificati come persone che in realtà deprezzano la propria vita in nome di uno scenario semplicemente anacronistico. Eppure, laicamente parlando, sono indotto a credere che il miracolo di Daniele nella fossa dei leoni possa ripetersi e che – al di là di una superficiale ingenuità (indispensabile perché si avveri il non possibile) – la poesia abbia in sé un seme capace di attecchire nell’ambiente più naturalmente ostile che esista. Ho visto piante di fico che si ostinano a infiltrare le proprie radici nelle fessure di rocce pericolanti pur di salvaguardare la sacralità dei luoghi di sepoltura.

luigiginomaruzzi [at] gmail.com

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