Con la testa nell’amianto
Di Ennio Chiodi
Conta poco, oggi, a Broni e dintorni, sapere con precisione quante migliaia di metri quadrati di tetti, tettoie, manufatti in amianto restano da smaltire, né approfondire ulteriormente perché non tutto sia stato fatto. Non sono mancati errori e sottovalutazioni, ma l’impegno delle istituzioni locali negli ultimi anni ha consentito di raggiungere risultati anche importanti. Poco aggiunge al dolore collettivo di una comunità aggiornare gli elenchi delle centinaia di morti individuando, caso per caso, con malcelata ipocrisia, circostanze e responsabilità. Solo pochi giorni fa si sono celebrati in Basilica a Broni i funerali dell’ultima – in ordine di tempo e per quanto ne sappiamo – vittima innocente di una strage subdola e feroce. Valerio, manager di successo, sposo e padre di tre figli, aveva 43 anni. Era un bambino, nel 1993, quando la “Fibronit” (Fabbrica Italiana Broni Tubi) fu costretta a sospendere la produzione di quei materiali killer. A Broni non viveva, ma frequentava scuole e oratorio. Tanto è bastato perché il tumore cominciasse ad aggredirlo. È bastardo il mesotelioma: si nasconde anche per decine di anni e quando si presenta ha già fatto in gran parte il suo lavoro. Le case farmaceutiche lo considerano una malattia numericamente poco rilevante che non merita grandi investimenti in ricerca e sperimentazione. Difficile spiegarlo a chi lo frequenta con assiduità. La sua capacità di uccidere è superiore al 90%, ma altrettanto violenta è l’angoscia che diffonde. Il picco dovrebbe essere stato raggiunto proprio quest’anno. Quanto ci vorrà ancora perché chi è cresciuto da quelle parti non sobbalzi a ogni colpo di tosse, a ogni bronchite stagionale? Quando la fabbrica era in piena attività i bambini giocavano con quei fiocchi bianchi che coprivano tetti e campi; le famiglie degli operai tenevano in casa abiti e tute intrise di veleno; molti raccoglievano i manufatti scartati per gli utilizzi più disparati. Pochi sapevano e chi sapeva non lo diceva. L’opinione pubblica ne è stata a lungo all’oscuro: una vicenda scomoda da tenere riservata, nascosta tra quattro ridenti colline. In questi giorni Regione Lombardia chiede la convocazione a Broni della Conferenza nazionale sull’amianto. Qualcosa si muove ed era ora. La “Fibronit” aveva aperto uno stabilimento anche a Bari, dove ha prodotto gli stessi terribili effetti. Oggi la fabbrica pugliese è stata rasa al suolo. Al suo posto sta nascendo un grande spazio verde aperto a tutta la città che si chiamerà “Parco della Rinascita”. A Broni il mostro in cemento è ancora lì. Burocrazia e inchieste ne ostacolano la demolizione. In compenso sarà ricostruito il liceo: un segno di speranza che guarda ai giovani, a un futuro consapevole.
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