Buone maniere e disabilità

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di Patrizia Ferrando

Il galateo, ne sono convinta, non va considerato come un insieme di leggi ferree, perché è un repertorio di esempi e indicazioni utili per migliorare con bellezza e gentilezza le piccole cose della vita, e aggiungere un pizzico di luce ai rapporti interpersonali.

La settimana scorsa vi ho parlato di quanto le buone intenzioni rischino di sortire effetti contrari a quelli sperati: ora vorrei additare uno dei maggiori responsabili di atteggiamenti deplorevoli, ovvero l’imbarazzo. Lo faccio nel riflettere ancora un poco sul rapporto fra buone maniere e disabilità però sono moltissimi i quadri in cui il provare disagio, più o meno inconscio, crea sbavature.

Incontrare una persona con disabilità mette molti in una sorta d’imbarazzo, ingiustificato ma derivante da una mera visione statistica che pone l’incontro tra quelli meno frequenti. Banalmente, non fa parte delle loro abitudini. Non parlo di forti amicizie o famiglia o impegno nel settore: mi riferisco ai comuni incroci sociali, come sempre con alcuni esempi.

Primo, deplorevole eppur caso comune: coloro i quali pensano di sfoggiare un surplus improbabile di carineria e divengono stucchevoli. Niente scuse per chi, in presenza di una persona con difficoltà di deambulazione o altro, comincia a usare diminutivi e vezzeggiativi improbabili, ammicca come se giocasse coi pupazzetti, assume un’aria confidenziale del tutto illogica. Il grado di formalità con cui rivolgersi agli altri, la scelta tra “tu” e “lei”, anche la prossemica (attuali norme sanitarie a parte) da adottare, dipendono da età, ruoli e circostanze, di sicuro non da eventuali disabilità.

Altro, e più pesante ancora, esempio: risulta veramente brutto come la presenza di un accompagnatore spinga alcuni a interloquire con questo e non con i diretti interessati. Come vi sentireste se si parlasse di voi con modalità adatte ai soggetti assenti o, peggio, agli oggetti?

Quando capita di scambiare due chiacchiere, sempre in contesto di poca confidenza, non occorre nessuna regola speciale; il parlare di argomenti generali, il rimanere attenti all’ascolto e ai segnali dell’altro, l’uso del semplice buon senso rimangono pilastri inamovibili in qualsiasi caso.

Spero sia superfluo aggiungere che fiorire di espressioni di compatimento o domande sulle cause che hanno determinato le condizioni di una persona nella conversazione non rientra tra gli indici di buona educazione.

Infine, non capisco perché alcuni congedino le persone con disabilità esclamando: «Auguri!»

Auguri perché? Per cosa? O partite dalla discutibile, almeno nella forma, convinzione che gli auguri servano a tutti e lo ripetete a chiunque o lasciate perdere.

patrizia.marta.ferrando@gmail.com

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