Cercasi tata solo laureata

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Di Silvia Malaspina

Care le mie tate, o baby sitter o bambinaie, ho letto sul Corriere della Sera un articolo di Allegra Ferrante che fornisce una panoramica completa e nel contempo sbalorditiva sul vostro operato e sulle vostre competenze quasi omnicomprensive. La giornalista si sofferma in particolare su quante di voi, care tate, operano a Milano – in particolare nell’alta borghesia meneghina – dove, apprendo, il termine esatto per indicarvi è l’anglicissimo nanny. Vi sono richieste qualità che farebbero apparire Mary Poppins una dilettante: conoscenza di almeno una lingua straniera, oltre allo scontato Inglese che dovete padroneggiare anche più dell’Italiano, formazione che preveda laurea in Scienze dell’Educazione e corsi di pediatria di base, disponibilità alla convivenza h 24 con i bimbi non solo in città, ma anche nelle blasonate località di vacanza, per cui praticare sport come lo sci e il nuoto costituisce titolo preferenziale. Care tate, vi siete trasformate nelle power women della gestione della prima infanzia: dovendo fronteggiare mamme sempre più impe- gnate nella carriera, esigenti e fantasiose nelle richieste, vi siete differenziate in varie tipologie, tate live-in/live-out, puericultrici per i neonati, educatrici per i più grandi. Non vi nascon- do che sono esterrefatta: la mia idea di tata è legata a un’amorevole figura accudente, semi materna, che evita che il bimbo si spacchi la testa al parco giochi, gli prepara i pasti e lo riconsegna felice nell’abbraccio della mamma, quando questa torna dal lavoro. Evidentemente si è verificata una rivoluzione che, temo, arriverà presto anche nelle nostre cittadine di provincia, un po’ sonnolente, ma per fortuna anco- ra lontane dagli eccessi metropolitani. Il fatto che da qualche anno veda aggirarsi di primo mattino per la mia città uno scuolabus che preleva i bimbetti per trasportarli in una scuola dell’infanzia etichettata come “International School”, ubicata ad Alessandria, non mi fa ben sperare. Temo che si stia rubando la magia all’incantevole e sospesa fascia d’età prescolare. Come testimonia una di voi intervistata, un pargolo di 2 anni ha la giornata organizzata come un manager: «Mattino fuori, attività motorie. Pranzo con proteine vegetali, riposo con rituale fisso. Pomeriggio manualità, lettura dialogica, giochi di ritmo. Alle 17, routine serale: luci basse, storia, niente schermi». Ma quando potrà dare libero sfogo alla fantasia, giocare liberamente o semplicemente annoiarsi?

silviamalaspina [at] libero.it

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