Tutto iniziò quel giorno

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di MARIA PIA E GIANNI MUSSINI

A Gianni lei non aveva fatto una grande impressione quel primo giorno di università, nel novembre 1970, a lezione di Geografia, quando le si sedette vicino per caso. Vestita un po’ da dama di san Vincenzo (quelle di una volta), un po’ smunta, occhialuta e tutta presa dagli appunti con cui freneticamente teneva il ritmo del professore. Lui invece aveva le sue fantasie (sul quaderno disegnava un’improbabile carta della Grande Guerra, fronte franco-tedesco, che non c’entrava nulla con la lezione), nelle quali ogni tanto cercava di coinvolgerla ma venendone remunerato solo dallo svelamento del nome: Maria Pia. Quell’esame venne poi cassato dai rispettivi piani di studio, ma Gianni e Maria Pia finirono per vedersi tutti i giorni nelle aule di Lettere, dove frequentavano quasi gli stessi corsi all’università di Pavia. E così, a poco a poco, a lui – che pure, immaturo come sono tutti i ragazzi di quell’età, era innamorato di tutte – cominciò a interessare la bellezza nascosta, da interpretare e coltivare, di questa ragazza dai grandi occhi scuri come i suoi capelli, e dall’ovale largo e armoniosamente zigomato. Il colpo di fulmine fu la festa natalizia del Collegio Borromeo, dove Gianni studiava. Maria Pia aveva già un pretendente alle calcagna, ma si vedeva che non corrispondeva. Indossava degli originali pantaloni alla zuava di velluto azzurro e una maglia bianca di raso con polsini e colletto impreziositi da sapienti nervature, il tutto opera di sua madre. Lui, che da timido qual era si era messo un vestito da antico romano, da sé medesimo cucito con tanto di passamaneria rossa e calzari, le fece ballare un valzer (eccezione nel programma pop della serata), che complicò con un bel casqué da tanghero. Alla fine ecco l’epifania: quell’ovale zigomato si apre in un sorriso leggermente arcuato verso il basso, come una curva d’orizzonte; e nel centro di quel sorriso una leggera apertura tra i due incisivi centrali. Poi la voce piena e dolcissima, vera incarnazione di quella bellezza nascosta. Per Gianni fu un colpo al cuore. Dice il poeta che se anche la sua Laura è invecchiata, l’abbagliante immagine del primo incontro gli rimarrà impressa per sempre perché «piaga per allentar d’arco non sana» (una volta allentata la corda dell’arco, non per questo si rimargina la ferita procurata dal dardo fatale: parola di Petrarca). Ecco…

Così Gianni cominciò a frequentare lei e una sua inseparabile compagna d’anno al Collegio Castiglioni. Alle due amiche del cuore (intimamente a una sola) chiese anche di confezionargli, gratis, un maglione coloratissimo bordato di pompon e con un enorme cane ricamato a punto maglia sul davanti. Venne accontentato. E girava ovunque con quel maglione psichedelico, tutto fiero e incantato. Intanto alla radio davano spesso la canzone di Massimo Ranieri Vent’anni, con parole che confermavano per Gianni la medesima vocazione: «Io credo che lassù c’era un sorriso anche per me. La stessa luce che si accende quando nasce un re». Il re era proprio Gianni. Lei, specie in risposta a sue battute sui loro professori, gli prodigava sempre i suoi non resistibili sorrisi, ma era assorta in un mondo che pareva altro e inattingibile.

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