Tornando a scuola… di filantropia
Quello filantropico è un settore che apre ai giovani la prospettiva di esprimere il proprio talento e alimentare una delle più nobili passioni
DI LUIGI MARUZZI
Leggo sull’Avvenire del 17 luglio che in Nigeria una banda di uomini armati ha assalito il Seminario Diocesano Minore di Ivhianokpodi per poi sequestrare alcuni dei ragazzi ospiti. La vicenda avrà naturalmente i suoi sviluppi (riscatto, liberazione, ecc.). Di rapimenti (veri e falsi), di sacerdoti e di storie d’infanzia ho già avuto modo di occu- parmi nei precedenti articoli di quest’anno, ma stavolta è diverso. Non nego che qualche suggestione mi sia derivata dalla visita alla mostra sulle fotografie di Mario Giacomelli, organizzata da Palazzo Reale e ospitata presso gli spazi espositivi attigui al Museo del Novecento in Milano. Quelle scene di spensieratezza che vedono giocare e scherzare i seminaristi marchigiani, suscitano sensazioni di forte contrasto con la situazione di paura costante con cui sono costretti a convivere ragazzi e giovani coinvolti in programmi di formazione culturale e religiosa nelle zone povere del pianeta. Se però volessi rintracciare un legame tra la narrazione poetica offerta dall’arte fotografica di Giacomelli e l’irruzione dei banditi nel seminario nigeriano, la mia attenzione si poserebbe sul fatto che spesso sono donatori privati coloro che permettono la permanenza di giovani all’interno di studentati (seminari inclusi). Era vero in Italia negli anni ’60, e altrettanto verosimilmente funziona così tutt’oggi a livello mondiale. Verrebbe quindi da interrogarsi su quali siano i luoghi deputati ad accogliere e accompagnare chi volesse mettersi alla prova con l’attività che identifichiamo come filantropia. In realtà, dobbiamo distinguere le due figure protagoniste di questo esame: il filantropo “imprenditore” e il professionista a supporto dei servizi filantropici. Per la prima parte, si tratterebbe di tracciare il percorso con cui si giunge a diventare filantropi. In altre parole, occorrerebbe esplorare circostanze storiche e ragioni individuali che hanno determinato la genesi della filantropia, un tema che trovo estremamente affascinante ma proibitivo da approcciare in questa sede. Salvo che per un breve accenno… Recentemente, infatti, ho visto la pubblicità di un marchio commerciale che terminava con un claim che mi ha colpito: “Restituire, ogni giorno”. Strana e inconsueta (mi son detto). Evidentemente, avevo equivocato il concetto di restituzione, visto che venivano pubblicizzati prodotti per l’i- giene e la bellezza della pelle. Resta il fatto che riconoscere di essere stati fortunati nella vita conduce alcune persone (oggi personaggi noti) a fare pubblicamente gesti di particolare generosità a titolo di beneficenza. I molti casi che replicano questo pattern ci autorizzano a sostenere che la controfacciata del sogno americano (gli Stati Uniti sono patria di charities e importanti fondazioni) sia insita nella convinzione che parte della propria ricchezza debba essere restituita alla comunità che ne ha permesso la creazione. Quanto all’Europa, mi vengono in mente due storie paradigmatiche: quella della fondazione Wellcome Trust, ente inglese nato nel 1936 (con un organico di circa 2000 dipendenti; fonte cividata.org), e quella della Novo Nordisk Foundation, ente danese fondato nel 1922 (dotato di quasi 200 dipendenti; fonte novonordiskfonden.dk). Entrambe intervengono soprattutto in favore della ricerca scientifica devolvendo ogni anno somme cospicue in forma di contributi (grants). Per la seconda parte del nostro esame, incentrata sui professionisti a supporto dei servizi filantropici, facciamo riferimento alla preparazione dei giovani che guardano con interesse alle istituzioni filantropiche a scopo di inserimento professionale. Stando alla mia esperienza, non ci sono corsie preferenziali, di solito i giovani che riescono a costruirsi una carriera in quel mondo hanno seguito percorsi poco canonici, sempre a parità di formazione umanistica oppure economico-sociale. Conta molto lo studio ma anche il vissuto di ciascun candidato; non è necessario provenire dal mondo del volontariato o poter vantare esperienze fatte a servizio di organizzazioni nonprofit, ma concepire il proprio lavoro come qualcosa che dialoga con alcune grandi sfide, sì. Possiamo comunque ricordare che ci sono diversi atenei che offrono validissimi percorsi di specializzazione post laurea, strutturati in master e focalizzati sugli enti non profit; altre agenzie formative accompagnano i giovani candidati nell’apprendimento di tematiche come fundraising e progettazione europea. Ma parlare di organismi che “sfornano” capitale umano immediatamente impiegabile, per esempio presso una fondazione di erogazione di grandi dimensioni, sarebbe solo un auspicio. Qualcosa di nuovo però si è appena affacciato sullo scenario delle opportunità formative; si tratta del “Corso Executive Philanthropy” organizzato dall’Università Cattolica, che partirà il prossimo autunno. Considerato che il programma è focalizzato sui profili philanthropy advisor, funzionario di fondazione ed esperto di filantropia aziendale, posso facilmente prevedere che il corso conseguirà ottimi risultati.
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