Se lo spread fa differenza
Di Cesare Raviolo
Un’improvvida affermazione del presidente del Consiglio, nel corso del question time del 14 maggio alla Camera, ha riportato d’attualità il famigerato spread, di cui non si era quasi più sentito parlare dall’ormai lontano 2011, quando, durante il IV esecutivo Berlusconi, il 9 novembre di quell’anno, aveva rag- giunto il picco storico di 575 punti base, innescando la crisi che, tre giorni dopo, portò alle dimissioni del Governo per contenere il rischio di default del Paese. Ora qualche spiegazione sullo spread è d’obbligo. Questo termine inglese, traducibile con “differenza”, “divario”, designa la differenza di rendimento tra due titoli (azioni, obbligazioni, titoli di Stato) dello stesso tipo e durata, uno dei quali è considerato un titolo di riferimento. In Europa i titoli di Stato tedeschi, i cosiddetti Bund, perché sono quelli a minor rischio, in quanto l’economia della Germa- nia è considerata la più solida tra quelle europee, tanto da essere l’elemento di paragone virtuoso non solo per quanto riguar- da il debito pubblico, ma anche le obbligazioni. I titoli di Stato sono il mezzo con cui uno Stato si fa prestare soldi dagli investitori sui mercati finanziari; il loro tasso di interesse è ovviamente in funzione del rischio al quale è esposto l’investimento. Affinché si possa davvero affermare che “i titoli di Stato italiani vengono considerati più sicuri dei titoli di Stato tedeschi”, lo spread dovrebbe essere negativo, come per la Danimarca che, alla chiusura di venerdì, vantava un differenziale pari a -9,48. Invece l’Italia ha ancora uno spread molto alto: la settimana scorsa era pari a 100,36, decisamente peggiore di quello di una dozzina di Paesi, tra cui Paesi Bassi (21,46), Irlanda (28,59), Austria (38,95), Finlandia (45,12), Slovenia (46,42), Portogallo (50,10), Grecia (72,12), Slovacchia (92,64) e ancora Belgio (53,27), Spagna (62,10) e Francia (67,22). Peggio dell’Italia, solo Repubblica Ceca (169,02) e Ungheria (440,42). Dunque, maggiore è lo spread e più i titoli di Stato sono considerati rischiosi dagli investitori, perché diminuisce la fiducia del mercato sull’effettiva capacità di quello Stato di rimborsare il debito pubblico; a tal proposito, la situazione del nostro Paese è tutt’altro che rosea: alla rilevazione Bankitalia di marzo 2025 è salito da 3.024,3 a 3.033,9 miliardi di euro (+9,55 mld/mese). Si chiami spread o altro, la differenza c’è e si farà sentire!
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