Le parole tra noi violente

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Di Ennio Chiodi

Di solito funziona così: ci si lascia scappare – complice la tentazione dei social che sembrano darti un senso di globale impunità – una frase offensiva, aggressiva, ideologica e fortemente discriminatoria, per poi ritrattare, cancellare il post, dichiararsi pentiti e assicurare tutti che non si voleva ferire nessuno. “Se qualcuno dovesse sentirsi offeso, mi dispiace e me ne scuso”: peggio la toppa del buco. Citare, con naturalezza, una frase attribuita a Joseph Goebbels, uno dei gerarchi più vicini ad Adolf Hitler, ispiratore e capo della perfida e subdola propaganda del regime nazista, vuol dire averla nel repertorio, avere frequentato e assorbito buona parte di quel pensiero e di quella “dottrina”. Lo ha fatto, nei giorni scorsi, per contestare l’esibizione di una bandiera arcobaleno in un istituto pubblico di ricerca tecnologica, un consigliere comunale di Bolzano, ma avrebbe potuto succedere ovunque in un Paese dove la memoria storica è sempre più corta e si trasforma in oggetto di banale, ridicola, propaganda politica. Le reazioni sono spesso liquide: scorrono via senza lasciare traccia. Si deplorano severamente frasi e atteggiamenti; si chiedono, da parte degli avversari politici, le dimissioni da cariche pubbliche; si auspicano, da parte di amici e alleati, attente riflessioni, ma mai si giunge ad allontanare, in nome della coerenza, le cattive compagnie: ai voti non si rinuncia. Una sana “autosospensione” in attesa che passi la bufera è il massimo che ci si possa attendere. Solo po- chi giorni prima, in provincia di Napoli, un professore, un docente, un educatore, quindi, ha augurato – ancora complici i social – alla figlia di Giorgia Meloni la stessa fine di Martina, la ragazza quattordicenne di Afragola, uccisa a colpi di pietra in testa dall’ex fidanzato di 19 anni. Anche in questo, come in altri casi, confuse parole di scusa per tentare di cancellare parole di odio. L’intolleranza è radicata, non è “voce dal sen fuggita”. È il contrario della tolleranza, della disposizione a comprendere, ad “ascoltare” ragioni, idee e atteggiamenti diversi dai tuoi. Le parole, in politica e non solo, perdono – di questi tempi – sempre più la loro capacità di favorire il ragionamento, la mediazione, il necessario compromesso e possono trasformarsi in oggetti contundenti, se scagliate con ferocia, verso un bersaglio, individuo o gruppo che sia. Come aveva fatto con la “pa- ce” in occasione del suo primo saluto dopo l’elezione, Papa Leone XIV è tornato a usare le parole “disarmata e disarmante” attribuendole alla comunicazione. «Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la terra». Vale per i conflitti che angosciano i popoli e vale per i rapporti tra le persone, alla ricerca della dignità.

enniochiodi [at] gmail.com

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