Lavoro e residenza in Italia: scegliere sì o no?

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Referendum dell’8 e 9 giugno. Vademecum per i lettori. Ecco su che cosa siamo chiamati a esprimere la nostra volontà. Mentre la politica si divide in sterili polemiche… e noi fino a oggi non ci abbiamo capito niente

DI MARCO REZZANI

Domenica 8 e lunedì 9 giugno i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari. Quattro di questi hanno per oggetto alcune regole che riguardano il lavoro, mentre il quinto pone a tema gli anni di residenza continuativa nel nostro Paese necessari per ottenere la cittadinanza. Quello di giugno è un referendum “abrogativo”, previsto dall’articolo 75 della Costituzione: chi voterà “sì” è favorevole all’abrogazione, totale o parziale, di una legge. Chi vota “no” vuole che tutto rimanga immutato. Perché la consultazione referendaria sia valida è però necessario che si raggiunga il “quorum”, ovvero che si rechi a votare la metà più uno dei cittadini aventi diritto, un’evenienza mai verificatasi negli ultimi trent’anni, tranne che nel caso del referendum sull’acqua del 2011. E dal 1946 a oggi in Italia si sono svolti 78 referendum nazionali, di cui 72 a carattere abrogativo. I quattro quesiti che riguardano il lavoro sono piuttosto tecnici. In sostanza mirano a migliorare le condizioni e le garanzie per i lavoratori, almeno nelle intenzioni di chi li ha proposti, la Cgil, il sindacato con il maggior numero di iscritti a livello nazionale.

Con il quesito n. 1 (scheda verde) si mira ad abrogare le disposizioni del Decreto Legislativo 23/2015 – cosiddetto Jobs Act – in particolare per quanto riguarda il contratto a tutele crescenti. Per effetto delle disposizioni del Jobs Act, attualmente nelle aziende con oltre 15 dipendenti, i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 non hanno diritto al reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, anche qualora un giudice riconosca l’assenza di giusta causa o giustificato motivo. La proposta referendaria intende eliminare questa disparità, restituendo dignità e sicurezza a oltre 3 milioni e mezzo di dipendenti già colpiti dalla norma, e la disparità con i lavoratori delle piccole imprese.

Il quesito n. 2 (scheda arancione) si pone l’obiettivo di cancellare il tetto all’indennità di licenziamento nelle piccole imprese: in quelle con meno di 16 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo, oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere un indennizzo pari a 6 mensilità di risarcimento, anche qualora un giudice non reputi fondata l’interruzione del rapporto. Il referendum propone, quindi, di innalzare le tutele per chi lavora, cancellare il limite massimo di sei mensilità all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato e rimettere al giudice la facoltà di determinare il giusto risarcimento. Il giudice farebbe una valutazione caso per caso, tenendo conto delle condizioni familiari e della situazione del datore di lavoro. In questo modo, inoltre, si allineerebbe l’Italia alle normative europee, che prevedono un risarcimento integrale.

Il quesito n. 3 (scheda grigia) si concentra invece sui contratti a tempo determinato, istituto di lavoro flessibile che coinvolge oltre 2,3 milioni di persone in Italia. La normativa attuale consente di avviare un rapporto di lavoro a termine per un periodo fino a 12 mesi senza dover fornire alcuna motivazione. L’intento della proposta è quello di reintrodurre l’obbligo di specificare la causale per questo tipo di contratti, così da incentivare la stabilizzazione del lavoro e arginare la crescente precarietà.

Di sicurezza sul lavoro parla il quesito n. 4 (scheda rosso rubino) che si prefigge lo scopo di estendere la responsabilità in caso di incidenti anche all’azienda appaltante e non solo agli appaltatori. Attualmente, in caso di incidenti sul lavoro dovuti a carenze di sicurezza negli appalti, la responsabilità del committente (come ad esempio una grande azienda) è limitata solo ai rischi “generici” e non a quelli “specifici” dell’appaltatore. Il rischio generico – si chiarisce – è quello che grava sul lavoratore nello stesso modo in cui colpisce gli altri lavoratori, indipendentemente dall’attività lavorativa svolta; il rischio specifico è quello derivante dalle particolari condizioni dell’attività lavorativa svolta e/o dell’apparato produttivo dell’azienda (si pensi, ad esempio, all’utilizzo di un particolare solvente chimico in uno spazio confinato). Il quesito mira a rendere sempre responsabile il committente, permettendo ai lavoratori e alle loro famiglie di ottenere un risarcimento diretto. L’obiettivo è contrastare la prassi dell’affidamento a soggetti privi di solidità finanziaria o non in regola con la normativa sulla sicurezza, rafforzando così la prevenzione degli incidenti.

Il quesito n. 5 (scheda gialla) non riguarda il lavoro, bensì gli anni di residenza legale e continuativa necessari per ottenere la cittadinanza nel nostro Paese. Ora la legge prevede che siano 10, mentre chi ha proposto il referendum – +Europa, Possibile, Partito Socialista Italiano, Radicali italiani e Rifondazione Comunista insieme a una serie di associazioni della società civile che hanno raccolto oltre 637mila firme – vorrebbe che si riducessero a 5. Oltre al requisito temporale, oggetto della consultazione referendaria, rimarrebbero invariati gli altri criteri previsti dalla normativa vigente per avere la cittadinanza italiana, come la conoscenza della lingua italiana, un reddito adeguato, l’assenza di precedenti penali e il rispetto degli obblighi fiscali.

Come sempre la politica si è divisa tra chi invita a disertare le urne, chi a votare “Sì”, chi ad apporre la croce sul “No”. Ora la matita passa ai cittadini che potranno esercitare il proprio diritto di voto domenica dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15.

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