Il mistero della vita. La questione del senso
Fine vita. Mentre la Sardegna approva la legge (è la seconda regione in Italia) ospitiamo la riflessione di don Andrea Mariani, sacerdote e docente di Bioetica
DI DON ANDREA MARIANI
“Si nasce per vivere; non per morire”. (H. Arendt 19051975). Eppure la nostra vita inizia a morire già con il suo primo respiro. Il dualismo vita-morte da sempre è al centro del riflettere umano. E con il morire si dischiude l’esperienza della malattia e della sofferenza. Fare indietreggiare la morte, agire sulle sue cause, modificarne le frontiere, controllare l’insieme dei suoi parametri, volendo prolungare più a lungo possibile l’esistenza, sono alcuni dei principali obiettivi che abitano l’agire umano nei confronti della vita. Il tempo che viviamo prova a esorcizzare in ogni modo l’incontro con la morte. L’evento inimmaginabile della pandemia è lì a ricordare che si è sempre impreparati: la potenza umana è in realtà impotente. E la vita umana non può essere pensata nella logica del possedere ma del donare; non del semplice ricevere ma dell’accogliere; non dell’avere ma dell’essere. L’umano che si crede Dio e domina ogni cosa non è più custode del giardino della vita. Si dischiude così la grande questione sul senso della vita. È sintomatico il fatto che al termine vita ci si senta spesso costretti ad affiancare una parola che la specifichi. E, allora, il valore della vita, il senso della vita; la qualità della vita, la sacralità della vita quasi che vita sia un termine neutro, non più evocativo di significati, i quali devono essere espressamente richiamati, pena il non-senso. Si verifica così un lento e quasi inavvertito passaggio da una vita di valori o, da una vita che ha valore, a una vita che ha bisogni e che acquista significato nel momento in cui avverte il bisogno e lo soddisfa. In tal modo si istituisce una indebita coincidenza fra bisogni e significati: ciò che conta, ciò che dà senso alla vita, è quello che offre risposte immediate alle esigenze che si presentano. Non può essere così. La vita è per l’uomo un’esperienza che si produce prima che l’uomo possa volere o decidere. La vita è un accadimento sorprendente: ciò deve riempire di meraviglia. E la meraviglia è l’inizio di ogni conoscenza umana. L’uomo, disegnato sulle palme di Dio, ha dignità e grandezze ontologiche e non solo etiche o culturali. Per questo l’uguaglianza primordiale tra gli uomini, risultando dalla loro grandezza e dignità ontologiche, non ha carattere etico e culturale. Se lo avesse, ci si dividerebbe in uguali e in meno uguali. L’uomo talvolta non è santo, però è sempre sacro, perché viene da Dio. Per questo, dinanzi alla vita umana, ogni nostro atto deve essere teologicamente trasparente; ovverosia, l’uomo è troppo grande per potersi salvare con le proprie forze. (G. Angelini). La persona, quindi, è mistero; la sua vita è mistero. Solo coloro che hanno il coraggio di guardare l’uomo alla luce che scende dal cielo sono in grado di difendere l’uomo. (S. Grygiel 1934-2023). La vita si presenta in natura come un prodigio, una novità assoluta; essa ha dell’infinito, dell’eterno. La vita umana, pertanto, non è soltanto una vita, così come c’è una vita vegetale o una vita animale: un uomo non è qualcosa ma qualcuno che vive. Per questo la vita va difesa. Sempre.