Il fuoco della famiglia
Abbiamo ancora bisogno di tanto calore e luce per il vero bene dei bambini
Di Luigi Maruzzi
La Corte Costituzionale si è recentemente pronunciata in due occasioni su alcune norme della legge riguardante la procreazione medicalmente assistita (“Pma”, n. 40/2004). In particolare, la sentenza n. 68/2025 stabilisce – seppure indirettamente – che un bambino/una bambina possa avere due madri (1 biologica + 1 “intenzionale”), entrambe titolari dello stesso statuto di diritti e soprattutto di responsabilità. C’è chi ha visto in questa forma di riconoscimento un altro passo verso la completa emancipazione della donna. C’è poi chi, appellandosi più specificamente alla sentenza 69/2025, intravvede il rischio di impoverire il patri- monio affettivo ed educativo dei bambini, una rinuncia definitiva al tentativo di immaginare una composizione – in qualche misura riequilibrata – del nucleo familiare chiamato ad accompagnare la crescita e la formazione dei bambini. In verità, i giudici si sono espressi sulla famiglia intesa come realtà in continua trasformazione, dalle manifestazioni così repentine da rendere quasi impossibile il compito di proporre una linea guida giuridicamente robusta. Il tema ci tocca da vicino ed è troppo vasto da poter essere incapsulato in un semplice articolo anche se noi continuiamo a credere nella sacralità della famiglia fondata su un uomo e una donna. È solo che… non appena ci decidiamo ad accantonarlo aspettando che la riflessione perda l’inevitabile quota di emotività in eccesso e magari guadagni una maggiore capacità persuasiva, proprio in quel momento emergono altre problematiche che, se scollegate da un determinato concetto di famiglia, rischiano di smarrire l’unico baricentro capace di accoglierle tutte. A partire dall’adozione, per la quale sono replicabili le medesime domande che ricorrono in un’ottica di procreazione (come quelle focalizzate sull’individuazione delle figure educative più adeguate). Il tema delle adozioni richiama da molti anni l’attenzione di genitori, studiosi, operatori (pubblici e nonprofit). Vi sono però esperienze che, senza suscitare clamore, si sono innestate con esito positivo nel modello tradizionale di famiglia; esperienze che ancora oggi continuano a comunicare un messaggio di speranza e di sincero amore per l’infanzia. Con uno schema abbastanza semplice: una coppia di coniugi, senza rinunciare ad avere figli biologicamente propri, decide di offrire una prospettiva di vita famigliare a uno o più bambini mediante l’adozione. In un libro fresco di stampa, la giornalista Agnese Pini mette a disposizione la propria testimonianza. La verità è un fuoco ci propone una storia di adozione concepita come puro allargamento dello spettro affettivo gemmato dai genitori dell’autrice, che hanno deciso di adottare un fratellino e una sorellina ospiti dell’orfanotrofio di Cuzco in Perù. Senonché, la storia che Agnese racconta fa capire che la dimensione generativa non si esaurisce con l’accrescimento del numero dei membri che compongono il nucleo famigliare. Nel suo caso, ad esempio, l’amore riversato sulla famiglia si è intrecciato con la storia di una seconda vita. È quanto accade al padre di Agnese, che per una fetta consistente della sua esistenza aveva vissuto indossando il clergyman e somministrando i sacramenti previsti dalla religio- ne cattolica; in poche parole, era stato un prete. Un segreto sorprendente e al tempo stesso sconvolgente che costringerà Agnese a consegnare la salute della propria psiche nelle mani di un analista. Di solito, in contesti analoghi, sono i figli adottivi quelli pieni di inquietudine, quelli marchiati dall’abbandono, che fanno fatica a fare i conti con un passato doloroso (di miseria, violenza, errori). Il libro della Pini evidenzia, invece, che al centro della mappa dei legami familiari resta fondamentale il rapporto tra minori e adulti, un misto di tenerezza, autorevolezza e fiducia che non deve crollare mai. Malgrado la crudezza della vita concreta che (quasi sempre) riserva la scoperta di un segreto: gli adulti non possono fare a meno di nascondere qualcosa di traumatico ai loro figli, siano essi adottati, naturali oppure avuti grazie alla tecnica della fecondazione medicalmente assistita. Nella “seconda vita” del papà di Agnese Pini ho rivisto riflesse le storie di alcuni sacerdoti che ho conosciuto in tempi ormai lontani. Quasi tutti loro sono transitati da Milano, dopo aver abbandonato la via sacerdotale. E mi piace pensare, non senza un piccolo turbamento, che qualcuno di loro avrà insegnato religione nelle scuole a me vicine. Magari, avrà fondato un’associazione nonprofit, diventandone presidente; in questo caso la percentuale di aver ricevuto un contributo dalla Cariplo si eleva enormemente. Mi viene addirittura il dubbio di averlo incontrato nel corso di un incontro pubblico (e come avrei fatto, ignorandone la coincidenza?). A questo punto non escludo che uno dei suoi figliuoli appartenga al gruppo dei miei collaboratori. Anzi, è certo che sia andata così. Sono stato proprio io ad assumerlo.
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