La famiglia nel bosco
Di Silvia Malaspina
Cari i miei Nathan Trevallion e Catherine Birmingham, i vostri nomi sono balzati alla ribalta della cronaca e da qualche giorno siete stati travolti da un turbinio mediatico eccezionale, per via del provvedimento del Tribunale dei Minori dell’Aquila che vi ha sospeso la potestà genitoriale e ha trasferito i vostri tre figli (una bimba di 8 anni e due gemelli di 6) in una struttura protetta. La vostra scelta di vita è nota: abbandonate le rispettive professioni di chef e istruttrice di equitazione, vi stabiliste a vivere in una casa nel bosco vicino al borgo di Palmoli, in provincia di Chieti. L’abitazione da voi scelta è isolata, senza elettricità, né acqua corrente, il vostro stile di vita avulso da ogni infiltrazione di modernità o consumismo, i vostri figli cresciuti a stretto contatto con la natura e senza frequentare la scuola dell’obbligo. La decisione della giudice Cecilia Angrisano ha dato fuoco alle polveri, creando una profonda dicotomia nell’opinione pubblica tra chi si oppone, talvolta anche in toni concitati e violenti, al fatto che i bambini e tu, mamma Catherine, siate ospiti di una casa famiglia e chi, invece, ritiene che le condizioni di vita nel bosco non siano in effetti adatte al corretto sviluppo psicofisico dei minori. La questione è diventata anche politica, con esponenti della maggioranza che promettono di riportare al più presto i bambini a casa e quelli dell’opposizione che li tacciano di razzismo, sottolineando che nessun ministro si sarebbe così accalorato in difesa di una famiglia con una diversa pigmentazione o estrazione sociale. Cari Nathan e Catherine, anche io mi sono interrogata sul vostro caso, trovandomi, nella lotta tra cuore e ragione, in totale sintonia con quanto scritto da Massimo Gramellini che, nel consueto Buongiorno, ha immaginato un confronto dialettico tra se stesso e il proprio alter ego, concludendo di non riuscire a sancire se il provvedimento del Tribunale possa tornare a vantaggio della vostra prole. Permettetemi però, cari Nathan e Catherine: voi siete adulti e avete pieno diritto di scegliere le condizioni di vita che maggiormente vi si confanno. Ma siete certi che i vostri amati figli, quando cresceranno e non potranno più restare sotto le vostre ali protettive, si troveranno a proprio agio in un mondo che a loro risulta sconosciuto? Tra non molto la vostra primogenita varcherà la soglia dell’adolescenza, età nella quale l’appartenenza a un gruppo di coetanei è l’essenza stessa della vita: saprà rapportarsi senza traumi o difficoltà alle dinamiche così complesse di un’età tanto delicata?
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