«Il mio ruolo e i miei doveri nella cura del malato terminale»

Visualizzazioni: 29

Fine vita. Continua il nostro focus sul tema del suicidio medicalmente assistito e dell’eutanasia. Oggi ospitiamo la testimonianza di un medico di famiglia molto conosciuto a Tortona. Si tratta di un altro contributo che viene dal Meic al quale nelle prossime settimane si aggiungeranno nuove, autorevoli firme

DI CLAUDIO MASSOLO

L’articolo di Pier Luigi Baldi, pubblicato su questo settimanale lo scorso 19 giugno, riguardante l’iniziativa della Regione Toscana che ha varato autonomamente una legge sul tema del “fine vita”, ci induce a riflettere su un argomento difficile e delicato, che presenta risvolti di particolare complessità, non solo medici e legali, ma anche etici e religiosi. Come medico di famiglia cercherò di affrontare tali aspetti, riportando le esperienze acquisite durante la mia vita professionale. Una condizione che ritengo fondamentale, quando si deve ragionare su quale sia l’atteggiamento più opportuno da tenere nei confronti di una persona per la quale non esistono ulteriori possibilità terapeutiche, è il rispetto della volontà della persona stessa, quando essa sia espressa oppure conosciuta da chi l’assiste. Per mantenere SOTTO ESAME fede a un atteggiamento di “rispetto”, ci si trova quindi ad affrontare il grande problema dell’autodeterminazione, nel caso in cui il paziente abbia manifestato il desiderio di interrompere ogni terapia e, ancor più, la volontà di essere aiutato nel proposito di porre fine ai suoi giorni. Non mi sono mai trovato di fronte all’esplicita richiesta di interrompere ogni terapia. A volte, dai pazienti ho sentito frasi, dettate soprattutto dallo sconforto e dalla prolungata sofferenza, di richiesta di interruzione delle cure; tuttavia si sono sempre trovate soluzioni che, senza forzare la volontà delle persone, hanno permesso di recare loro un significativo sollievo. Nel caso di persone non più coscienti, o comunque non in grado di comunicare le proprie decisioni, il confronto è avvenuto con i familiari, ascoltando e condividendo le loro preoccupazioni e concordando la linea che sembrava la più idonea da seguire. Tante volte ci si rende conto che la scelta più adeguata è “il non fare altro” se non sedare il dolore, l’affanno e l’angoscia che assale il malato in fine vita, evitando di cadere in un atteggiamento di accanimento terapeutico. Concordo nel garantirgli, con ogni risorsa tecnica e scientifica, un supporto vitale, evitando però di esercitare forzature mediante terapie che potrebbero solo prolungarne la sofferenza.

Come medico, ho spesso provato la frustrazione di non poter fare nulla di risolutivo e confesso anche l’imbarazzo nel recarmi a visitare un malato in condizioni terminali, sapendo di non avere strumenti per lenirne il dolore, fisico e psichico. È fondamentale che il medico non faccia mai mancare la propria vicinanza al paziente e alla sua famiglia. Quanta riconoscenza ho colto negli sguardi, ormai stanchi, sofferenti, allarmati, che mi comunicavano in modo eloquente messaggi di gratitudine, così decodificabili: «Grazie di essere qui con me!». In questo “stare accanto” è racchiuso il senso del “prendersi cura” del malato terminale. Consapevole dello spegnersi delle proprie forze, penso che quasi sempre egli sia grato a chi gli sta semplicemente vicino e lo aiuta, anche con piccoli gesti, a non sentirsi solo. Affinché la “vicinanza” al paziente terminale possa avere la massima efficacia, essa va accompagnata da specifiche competenze e dalle più avanzate risorse terapeutiche. A questo scopo sono state istituite le “Unità di cure palliative”. Ricordo con piacere e gratitudine l’attività svolta, a fianco di noi medici di famiglia, dai colleghi medici, infermieri, assistenti sanitari. Proprio a Tortona, nel 1992, venne istituita, grazie all’impegno volontario di alcuni medici e infermieri (Pia Camagna, Maria Grazia Pacquola, Giorgio Musiari, Emilia Roveda, Piera Forlino e altri ancora) una Associazione dedicata alle cure palliative, tra le prime in Piemonte. Successivamente, nel 2002, fu attivata, dalla nostra Asl, l’Unità Operativa di Cure palliative. Mi rendo conto della necessità di un approfondito dibattito sul tema del “fine vita”, che si articoli su più piani: scientifico, legislativo, etico e religioso. In questo mio contributo, come ho scritto all’inizio dell’articolo, ho voluto riportare le mie esperienze, professionali e umane, vissute in questi lunghi anni come medico di famiglia.

Commenti: 0

Il tuo indirizzo mail non sarà reso pubblico. I campi obbligatori sono segnati con *