L’Italia in fondo al pozzo
Di Ennio Chiodi
Quei giorni del giugno del 1981 hanno cambiato la storia della televisione italiana e restano impressi nella memoria di una generazione, come è successo per altri eventi molto più universali e spettacolari. Molti ricordano dove erano: davanti a uno schermo televisivo, disposti a saltare impegni e a passare notti insonni per seguire la sorte di Alfredo Rampi, un bambino di 6 anni, caduto, nel pomeriggio del 10 giugno, in un pozzo artesiano a Vermicino, un piccolo centro della periferia Sud di Roma. Alfredo – per tutti, da allora, Alfredino – precipita per 36 metri e si ferma incastrato in un punto largo appena una trentina di centimetri. La notizia giunge nelle redazioni in piena notte. La Rai, che in quei tempi era ancora “la Rai”, cominciò a seguirla con crescente attenzione, moltiplicando i collegamenti e gli interventi fino a costruire un evento mediatico che sarebbe rimasto nella storia: una telecronaca in diretta, ininterrotta, su tutte le Reti durata 18 ore, seguita, nella notte tra il 12 e il 13 giugno, da oltre 20 milioni di telespettatori, concentrati sulle immagini di una sola telecamera che riprendeva, con pochi movimenti, un buco nel terreno, “zoomando” per allargare la scena anche all’area immediatamente circostante. Attorno a quel palcoscenico, illuminato dai fari dei Vigili del Fuoco, una gigantesca doppia platea. Quella fisica, reale, composta da migliaia di persone giunte sul posto a seguire e intralciare, in verità, i vani tentativi di salvare il bambino e quella virtuale che si andava componendo, nelle case degli Italiani. Tra i presenti anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini, arrivato quando sembrava che il lieto fine fosse a un passo. Nessuno è riuscito a tirarlo fuori, quel bambino, nonostante i generosi, ma spesso improvvisati tentativi dei tecnici e dei volontari. L’Italia tutta, con Alfredino, era finita in fondo al pozzo. Avevamo già subito tremende immagini di stragi e attentati, di cadaveri sull’asfalto, di vetri infranti, di treni squarciati, di macerie di banche e di stazioni, ma quell’evento ha fatto scoprire la potenza e i limiti del racconto senza filtri. Abbiamo violato la dignità di Alfredino, trasmettendo i suoi disperati appelli grazie a un microfono calato nel pozzo. Abbiamo diffuso senza pudore l’angoscia e poi il tremendo dolore di una mamma. Ma abbiamo anche messo a nudo limiti e impreparazione degli apparati. In quell’occasione la televisione ha preso la scena approfittando delle emozioni di un popolo con poco rispetto per i sentimenti delle persone. Lo ha imposto, allora, l’immediatezza del racconto continuo e impietoso della cronaca, ma – di questi tempi – poco è cambiato, come dimostrano i cruenti pomeriggi e le ripetitive serate della nostra televisione.
enniochiodi [at] gmail.com