La pigra scuola italiana

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Di Ennio Chiodi

“Sono un insegnante e vorrei cambiare lavoro: vorrei tanto fare… l’insegnante.” Con questa provocazione un docente di Storia e Filosofia in un liceo scientifico di Pavia, ha lanciato, attraverso una lettera al Corriere della Sera, un sasso nello stagno del mondo della scuola e della sua autoreferenzialità. “Agli insegnanti oggi si chiede di tutto tranne che insegnare e agli studenti di tutto tranne che imparare”. Si vuole – sostiene Marco Redaelli – che un docente sia psicoterapeuta, informatico, pedagogista, burocrate diligente, magari saltimbanco e giullare “per accattivarsi la simpatia degli studenti”; cieco e sordo per essere “più buono ed inclusivo” e lasciar passare errori e strafalcioni per non dare note e voti troppo bassi. Il risultato sulla preparazione degli studenti sarebbe disastroso, come dimostrano le indagini più attendibili: scarsa capacità di comprendere un testo anche semplice, limitatissime attitudini logico/matematiche e ridotte potenzialità linguistico/espressive. Ne fanno le spese “il merito, la cultura e la crescita umana.” Esagerato? Certamente sì, secondo molti suoi colleghi: esagerato e – lui – autoreferenziale. Sebastiano Cuffari, docente di Lettere in un Istituto professionale, ad esempio, lo accusa sul blog Libramente di descrivere con la propria prospettiva personale l’intera scuola italiana, di usare nessi causali popolari ma non dimostrati e di dare per scontato che il calo delle competenze sia causato dall’eccesso di inclusività senza considerare altre varianti socia- li, economiche e tecnologiche. I risultati di test internazionali come Ocse e Pisa dimostrano anzi che la preparazione degli studenti italiani rispetto a quelli di molti Paesi europei è in lenta ma costante crescita. Insomma: la scuola di oggi sarebbe per molti aspetti migliore della “scuola di una volta”. Si nota tuttavia, se non pigrizia, una certa refrattarietà al cambiamento. Nel dibattito resta marginale la questione di programmi obsoleti e ripetitivi, costruiti più sul nozionismo che sui nessi di causalità nello svolgersi della storia. Apprendono che Asdrubale era fratello di Annibale, che Vercingetorige era il re degli Arverni e che il console Lu- cio Giunio Bruto è stato il fondatore della Repubblica Romana, ma non sanno nulla di Mussolini e De Gasperi e non conoscono le com- petenze del presidente della Repubblica. Restano episodici i tentativi di rendere connesse le materie tra di loro con insegnamenti pluridisciplinari e complementari. L’apprendimento delle lingue straniere punta poco al capire e al farsi capire. Lo studio dell’Italiano è appesantito da un eccesso di sintassi e tediose descrizioni teoriche dei testi. Imparare a scrivere be- ne – di questi tempi – è sostanzialmente secondario.

enniochiodi [at] gmail.com

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