«I ragazzi non sono cambiati, siamo cambiati noi adulti»

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Dopo i recenti fatti accaduti a Stradella, abbiamo deciso di intraprendere un viaggio nei nostri oratori per capire che cosa fanno, chi li frequenta, quali progetti mettono in campo per contrastare il fenomeno del disagio giovanile. E che senso ha tenerli aperti. Iniziamo con l’intervista a Giuseppe Dessì, presidente nazionale dell’Anspi, che raccoglie in Italia 1800 circoli

DI DANIELA CATALANO

Sono passate solo due settimane da quando il nostro settimanale e la stampa nazionale hanno informato su un brutto episodio capitato a Stradella, dove un gruppo di minorenni, in particolare una ragazzina, ha interrotto un incontro in oratorio e infastidito il viceparroco don Daniele Lottari e le persone presenti. L’accaduto ha sollevato diversi interrogativi sul mondo giovanile e ha riportato l’attenzione sugli oratori, che spesso sono presi di mira da teppisti in erba, ma che sono ancora centri dove è possibile confrontarsi con sani valori come l’amicizia, la condivisione e la fede. L’oratorio è nato grazie all’iniziativa di san Giovanni Bosco, che lo volle luogo educativo e di crescita spirituale per aiutare a vivere l’infanzia e l’adolescenza in modo positivo e costruttivo, promuovendo solidarietà e rispetto reciproco e accogliendo quanti venivano da contesti difficili. Oggi, in una società dove sono cambiati i ritmi delle famiglie, sono mutati i bisogni e, spesso, l’adolescenza è un tempo di disagio o di isolamento, ci siamo chiesti se l’oratorio può essere ancora uno spazio per custodire la relazione con Dio, per conoscere se stessi, i propri talenti e provare a sperimentarli, mettendoli a servizio degli altri. Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Dessì, avvocato e primo presidente laico dell’Anspi (Associazione Nazionale San Paolo Italia), che raccoglie circa 1800 realtà in tutto il Paese, fondata da mons. Battista Belloli nel 1965 per dare piena legittimità agli oratori di operare nel tessuto sociale per l’educazione dei giovani.

Gli atti di violenza di baby gang e le situazioni che coinvolgono ragazzi disagiati e difficili sono piuttosto diffusi. Che ruolo possono avere gli oratori per affrontare il problema e qual è la loro realtà in Italia attualmente?

«Il ruolo degli oratori è fondamentale, perché al loro interno si coltiva lo spirito evangelico ed è forte l’impegno a valorizzare la persona umana in tutti i suoi aspetti. I ragazzi, fin da piccoli, si sentono a casa e accolgono lo spirito del Vangelo, imparando le parole del Signore e il rispetto di tutte le persone, anche di quelle povertà materiali o umane, in un’ottica di condivisione di valori. L’oratorio può essere un importante aiuto per i ragazzi che manifestano problemi e vivono situazioni di disagio, perché stimola a creare amicizie e relazioni, favorendo il carisma personale. Nell’oratorio è possibile trovare testimoni credibili, che possono aiutare quanti sono in difficoltà a vivere una realtà diversa, dando loro gli strumenti per diventare migliori. Per fare questo è fondamentale la formazione degli animatori, degli educatori e di tutto il personale. Gli animatori, infatti, iniziano il loro percorso a 14 anni e devono essere capaci di prendere per mano i bambini. L’oratorio non deve essere un parcheggio dove depositare un figlio, ma in questo ambiente i ragazzi devono imparare a diventare “buoni cristiani e onesti cittadini”, come voleva san Giovanni Bosco.La situazione degli oratori italiani per l’Anspi è buona. Come presidente nazionale posso affermare che stiamo uscendo dal periodo post Covid con una forza maggiore e un rinnovato senso di partecipazione. Sicuramente il calo demografico a livello nazionale è un fattore importante, però i numeri della nostra associazione sono positivi. Gli oratori sono in quasi 1500 parrocchie italiane. Siamo presenti in 121 diocesi su 13 regioni e più di 85 province. Sono numeri che parlano di crescita formativa, di partecipazione agli eventi e alla progettazione sociale, di cui l’Anspi si è resa protagonista, coinvolgendo oratori e circoli dislocati in tutta Italia».

Quali sono i progetti che l’Anspi sta realizzando per i ragazzi e i giovani? Come è cambiato il mondo giovanile negli anni?

«I progetti sono stata l’arma con cui l’Anspi è riuscita a risollevarsi dal Covid. La progettazione sociale, il famoso articolo 72 del decreto legislativo n. 117 del 2017, che ha introdotto il terzo settore, ha portato a una nuova visione dell’oratorio che ritengo fondamentale. Oggi nella parrocchia e nella Chiesa al centro ci deve essere una progettazione, perché solo con l’improvvisazione non si va da nessuna parte. L’Anspi, grazie ai bandi ministeriali può sostenere progetti importanti su comunicazione, inclusione, doposcuola, sport e attività di tempo libero. In tutti questi settori coinvolgiamo i ragazzi e cerchiamo di offrire una professionalità che può essere utile per il loro futuro. Posso dire con certezza che i ragazzi non sono cambiati, siamo cambiati noi adulti che li guardiamo con gli occhi della nostra gioventù. Questo è sbagliato. Le loro esperienze e le loro attività non possono essere paragonate alle nostre. Laici, educatori e anche sacerdoti non possono pensare che l’oratorio si debba fare come si è sempre fatto. Sarebbe un fallimento. I ragazzi di oggi hanno una vasta serie di strumenti a loro disposizione per divertirsi, a differenza della nostra generazione, ma noi dobbiamo essere capaci di fare in modo che vengano all’oratorio e dobbiamo farli sentire a casa, con un linguaggio più vicino alle loro esigenze. È importante che abbiano accanto persone che parlano la stessa lingua e hanno gli stessi strumenti. L’oratorio dovrebbe essere capace di trovare la soluzione ai problemi dei ragazzi. L’ideale sarebbe che ogni parrocchia avesse un oratorio. Noi ci stiamo lavorando e speriamo di poterlo fare».

Mister Gattuso, c.t. della Nazionale di calcio, recentemente ha lamentato la scarsità di talenti calcistici perché tanti oratori sono chiusi. È davvero così? Quali sono, oggi, le prospettive degli oratori?

«Mister Gattuso, forse, ha ragione a dire che non ci sono più gli oratori di un tempo, ma per affermare questo bisogna avere una visione a 360°. L’Italia è molto variegata e la realtà non può essere la stessa da Nord a Sud. L’oratorio si realizza in modo diverso perché, pur essendo uguali i valori, le modalità cambiano da regione a regione. Gattuso faceva riferimento agli oratori dove c’erano campi da calcio e attività che favorivano lo sport. Oggi, però, anche lo sport deve essere oggetto di una progettazione apposita. Non è possibile che i campi di calcetto delle parrocchie spesso vengano dati alle società sportive che fanno pagare per andare a giocare. La motivazione è che il parroco non riesce a mantenerli. Se noi cediamo il passo e cerchiamo soluzioni semplici non facciamo il bene delle strutture. Sicuramente è richiesto un sacrificio ma questo sarà ripagato dai risultati. In passato l’oratorio era della comunità e tutti partecipavano con piacere. Oggi, purtroppo, le persone, e anche i sacerdoti, hanno poco tempo da dedicare ai ragazzi e nei seminari si parla poco di oratorio. Io penso, invece, che in parrocchia debba venire prima di tutto, perché se non si è capaci di accogliere i bambini e di accompagnarli nella crescita, non c’è futuro. La difficoltà attuale non è far venire i ragazzi, ma farli restare. Promuovere l’oratorio significa prevenire il disagio sociale e favorire anche la pastorale vocazionale, perché molte vocazioni sono nate proprio in queste realtà, dove non mancano i testimoni della fede vera».

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