Quello dei regali può essere un falso problema

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La nostra partecipazione al destino degli altri è in cima a una lista già scritta che risiede da sempre nel cuore dell’uomo (pane, acqua, vestiario, disponibilità, consolazione)

DI LUIGI MARUZZILo scorso mese ho ricevuto un biglietto omaggio per andare a vedere uno spettacolo di opera lirica alla Scala di Milano, una specie di regalo anticipato in previsione delle festività di fine anno. Se ripenso a circostanze analoghe, non mi è difficile scoprire che la mia presenza alla Scala è quasi sempre legata a un motivo di carattere professionale: il Premio Lombardia per la Ricerca, assegnato allo scienziato Giacomo Rizzolatti per lo studio dei neuroni a specchio, la festa per i 22 anni di Giuseppe Guzzetti passati alla guida della Fondazione Cariplo. In realtà, le eccezioni non mancano. Per esempio, nel 2024 sono stato invitato a una serata benefica durante la quale si sarebbero esibiti alcuni giovani con i violini fatti con i legni delle barche dei migranti. Purtroppo, ho dovuto rinunciarvi per diversi motivi, primo fra tutti la preoccupazione di non sovrapporre una nuova delizia intellettuale alle immagini dei momenti che ho adrenalinicamente condiviso con i detenuti del San Vittore tra il 2022 e il 2023. Ogni volta che incontravo il mio gruppetto di insospettabili traduttori e persino poeti, avvertivo la tentazione di fare domande che col tempo avrei giudicato assurde e improponibili. C’era forse, tra di loro, qualcuno che potesse raccontarmi il dramma dei migranti che attraversavano illegalmente la rotta dei Balcani occidentali? Magari, perché aveva conosciuto un superstite o l’amico di un testimone. Nessuno di loro poteva darmi qualche notizia affidabile sulle persone che l’Europa continuava a respingere ricorrendo a ogni mezzo, pur di cancellare le orme di quei piedi stanchi di camminare per tutto il giorno e sempre più vicini al rischio di assideramento? Guardando i detenuti che venivano in biblioteca a cimentarsi con la poesia di un italiano sconosciuto, ho pensato spesso ai migranti via terra, persone per le quali non esisteva qualcosa di simile alla “Porta di Lampedusa – Porta d’Europa” realizzata dall’artista Mimmo Paladino per conservare viva la memoria dei migranti che hanno perso la vita in mare. Eppure, ai migranti della rotta balcanica serviva disperatamente una “porta” come quella, che potesse introdurli a una vita degna di essere chiamata umana. Ma in carcere, si sa, non si possono fare certe domande. Anzi, una volta oltrepassate le mura di piazza Filangieri 2, sembra che non si possa fare nulla di utile. Se si riflette abbastanza, si arriva però a capire che l’unica cosa che potrebbe evadere dalle grate delle finestre è la voce. E, forse, neppure quella. La voce dei suicidi in carcere è ormai ridotta a un dato statistico dietro il quale si cela la rinuncia a occuparci dei singoli individui. E dire che i gesti di attenzione umana che potremmo compiere nei riguardi di coloro che sono rinchiusi e privati della libertà personale, sono tipicamente azioni che presuppongono una relazione diretta tra chi offre e chi riceve… D’altra parte, dobbiamo riconoscere che spesso è necessario che la carità venga intermediata in nome di una soluzione organizzativa che presenta vantaggi incontestabili; si pensi alla distribuzione del cibo e alla somministrazione di pasti caldi in favore di soggetti bisognosi. Nel caso del carcere l’intermediazione viene imposta dalle restrizioni che obbediscono a esigenze di sicurezza. Peccato, però, che il divieto di ricevere visite “non autorizzate” non faccia altro che annientare proprio ciò che vorrebbe un detenuto, ossia il contatto diretto con il portatore di una combinazione di intelligenza sentimenti e coraggio, un patrimonio difficile da trasferire con il solo mec- canismo della delega. L’altro giorno stavo ascoltando il direttore d’orchestra Danilo Rossi nel corso di un programma radiofonico (“Piazza Verdi”), e improvvisamente mi è venuto da sorridere quando il musicista ha parlato dei “violini di Arnoldo Mosca Mondadori”. In effetti, i “violini del mare” sono una sua creatura, al pari di decine di altri progetti che partono da questa idea: la bellezza è una realtà in continua migrazione ed è giusto che passi di mano in mano affinché tutti possano gustarne grandiosità e meraviglia. Questo concetto, semplice e formidabile al tempo stesso, si ritrova anche in un’altra iniziativa intitolata “Il senso del Pane”. Ciò che entrambi i progetti condividono è il loro radicamento nell’ambiente carcerario, tutto promana dalle mani di detenuti formati e avviati al lavoro (violini, ostie sacramentali e coroncine del Rosario). Ed ecco che viene a realizzarsi la metamorfosi, non quella della materia (da legno degradato a manufatto pregiato; da farina a particula), ma quella che passa attraverso il travaglio del lavoro, per giungere a una forma di bellezza che salva. “Tutto chiede bellezza”, ci ricorda il poeta scrittore Daniele Mencarelli con l’omonimo romanzo che ha ispirato una serie televisiva nota al pubblico giovanile. Per chiudere coerentemente, a questo punto dovrei offrire l’elenco di date e luoghi dei prossimi concerti che faranno uso dei “violini del mare”, ma preferisco utilizzare lo spazio che mi è rimasto per dare notizia di un importante programma di interventi filantropici che nel 2026 Fondazione Cariplo riserverà alle problematiche carcerarie. Mi sembra un’informazione dovuta, visto che già da quest’anno molti di noi – forse, senza saperlo – si troveranno a gustare panettoni prodotti dietro le sbarre.luigiginomaruzzi [at] gmail.com

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