Cortocircuito della scuola

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Di Ennio Chiodi

In molte scuole elementari – dalla Lombardia, al Veneto, al Piemonte – non sono più i Vianello, i Locatelli, i Giraudo, i Ferrari ad alzare la mano e rispondere “presente” all’appello della maestra. Lo fanno soprattutto bambini di diversa etnia, lingua, nazionalità e religione che rispondono al nome di Ahmed, Islam, Mahmud, Miah, Hussain, Khan, Fahad. Nel plesso scolastico di Mestre, alla scuola primaria Cesare Battisti, dei 61 bambini iscritti alla prima classe solo 2 hanno genitori italiani da più generazioni e solo una dozzina ha la cittadinanza italiana. Mestre è un caso limite, ma il fenomeno è diffuso soprattutto nel Nord del Paese. Nel complesso della popolazione scolastica i bambini stranieri, nati in Italia, che frequentano la primaria sono il 13% del totale. Di questi circa il 2% non ha ancora la cittadinanza italiana. Poi ci sono i “Nai” i “neo arrivati” nel sistema scolastico italiano per i quali si attivano percorsi di inserimento dedicati, ancora più impegnativi di quelli già previsti per gli alunni da tempo residenti. La scuola organizza classi organiche che tengano conto del numero di femmine e di maschi, della preparazione generale, della conoscenza della lingua, ma non riesce a evitare classi “ghetto” che allontanano il traguardo dell’integrazione. Le famiglie italiane iscrivono i figli a scuole private, quando ne abbiano la possibilità, o in zone più lontane, creando un circolo vizioso per molti aspetti comprensibile. I genitori dei bambini stranieri, a Mestre come a Monfalcone, come nelle superstiti grandi fabbriche del Nord, sostengono la nostra economia occupando posti di lavoro che rimarrebbero vacanti a causa di un ricambio generazionale fortemente insufficiente. Le conseguenze del calo demografico sull’occupazione e quindi sulla possibilità di tenere in moto la macchina produttiva del Paese sono drammatiche. Le contraddizioni sociali e culturali – di questi tempi – accompagnano la nostra vita giorno per giorno. C’è chi, come il generale Roberto Vannacci – passato dalla difesa dei sacri confini della Patria alla strenua tutela della identità dei suoi connazionali – ama gettare benzina sul fuoco. «Paghiamo più volte – sostiene – per mantenere gli immigrati, per difenderci dai delinquenti stranieri e per mandare i nostri figli nelle scuole private, essendo quelle pubbliche ormai impraticabili». Il cortocircuito che si crea tra crisi demografica e necessità di occupare lavoratori stranieri va gestito con buon senso e programmazione, correggendo lo sguardo miope o strabico di chi vede solo una parte del problema e cogliendo, da questa complessa sfida, opportunità di crescita. Difficile in tempi in cui prevale la logica dello schieramento e della semplificazione, ma necessario.

enniochiodi [at] gmail.com

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