La pace ha l’ora in bocca
Di Ennio Chiodi
La speranza di poter crescere in un mondo dove la pace è possibile – per usare le parole rivolte da Papa Leone XIV ai giovani riuniti a Roma per il Giubileo – ci ha accompagnato per qualche generazione dopo la devastazione della seconda guerra mondiale. Si è rinforzata con la caduta del muro di Berlino e con il crollo dell’Unione Sovietica e dei blocchi contrapposti, ma ora sembra vacillare. Visti i recenti conflitti, l’invasione russa dell’Ucraina, i massacri in Medio Oriente e le tensioni geopolitiche, la certezza di vivere una vi- ta senza guerra si affievolisce. Esattamente 80 anni dopo il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, il 6 e 9 agosto del 1945, il “Doomsday Clock” segnala che mancherebbero 89 secondi alla catastrofe nucleare. Manteniamo la calma. Il Doomsday Clock è solo un simbolo che indica la percezione di un gruppo di scienziati di varie discipline a proposito dei grandi rischi legati a minacce come la guerra nucleare, i cambiamenti climatici e al- tre tecnologie poco controllabili. È stato ideato dal “Bulletin of the Atomic Scientists”, un’organizzazione fondata nel 1945 da chi aveva lavorato al “progetto Manhattan”, il programma segreto di sviluppo della bomba atomica condotto negli Stati Uniti per battere sul tempo analoghi inquietanti progetti della Germania Nazista. L’orologio simbolico che indica la distanza dalla mezzanotte nucleare viene aggiornato con il mutare delle condizioni politiche, economiche e sociali del Paese. Oggi segna il tempo più vicino alla mezzanotte mai registrato. Neppure durante la fase acuta della guerra fredda, all’inizio degli anni ’60, ci era andato così vicino. Allora il mondo fu salvato dal buon senso del presidente degli Stati Uniti John Kennedy che accettò di ritirare 14 missili nucleari dalla Turchia in cambio della promessa del leader sovietico Nikita Chruščēv di smantellare le rampe di lancio costruite a Cuba per lanciare testate nucleari a lunga gittata. Si rafforzò quindi quell’equilibrio del terrore che paradossalmente garantì qualche decennio di pace. Di questi tempi la situazione è più grave perché la deterrenza reciproca è meno scontata. Ordigni nucleari definiti “tattici”, ma comunque terribilmente distruttivi, consentirebbero attacchi “limitati”. 89 secondi alla mezzanotte sono pochi, anche per chi considera forse esagerato questo allarme. Le comunicazioni dirette tra i potenti – ideate proprio dopo la crisi di Cuba – funzionano nonostante tutto, ma i “black out” sono sempre possibili e le conseguenze imprevedibili. Quel milione di giovani di tutto il mondo, riuniti a Roma in preghiera a parlare di pace con l’americano Papa Prevost, sono un gran bel segnale. Non disperdiamolo.
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