L’inizio di una nuova epoca per la Chiesa

Visualizzazioni: 24

I 1700 anni dal Concilio di Nicea. Mentre in Diocesi, martedì 20 maggio, si è tenuto il convegno per celebrare l’importante anniversario, ripercorriamo che cosa accadde nel primo concilio ecumenico della storia

DI DON MAURIZIO CERIANI

Il Concilio di Nicea, di cui quest’anno si celebrano i 1700 anni, è stato il primo concilio ecumenico della storia. L’antefatto che lo determinò fu la cosiddetta “crisi ariana”. All’interno della riflessione trinitaria sviluppata da Ario, sacerdote di Alessandria di Egitto, si finì per negare la divinità di Gesù Cristo, considerato come una sorta di “secondo Dio”, “eccelsa creatura”, “Demiurgo del creato” che ebbe un inizio temporale. La questione era di vitale importanza per la cristianità, perché perdere la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio, Unigenito del Padre, Dio come il Padre e lo Spirito, significa perdere la salvezza stessa. Nel pensiero di Ario si finiva per smarrire la fede sia in Dio Trinità sia in Cristo Salvatore. Nicea, con i successivi sei concili (Costantinopoli I 381, Efeso 431, Calcedonia 451, Costantinopoli II 553, Costantinopoli III 680-81, Nicea II 787), fissò i contenuti della fede relativi a Gesù Cristo Figlio di Dio e allo Spirito Santo Dio. Con le loro definizioni dogmatiche, i concili della Chiesa ancora non divisa determinarono pure gli “argini dell’ortodossia”, dando unità e coerenza al pensiero patristico su Cristo e al successivo sviluppo teologico.

Un’epoca nuova per la Chiesa e per l’impero romano

L’Editto di Milano (313), il Concilio di Nicea (325) e la fondazione di Costantinopoli (330) segnano l’entrata della Chiesa in un’epoca nuova e al tempo stesso una svolta determinante nella storia del mondo antico. L’imperatore Costantino, salito al potere nel 312, aveva compreso che l’impero di Roma non era più in grado di reggersi sui valori che avevano reso grande la Città dei sette colli e che il futuro di Roma stava in una “rifondazione” su nuove basi della sua secolare grandezza. Egli era convinto che la potenza spirituale della fede cristiana, che fin da bambino aveva ammirato nella madre sant’Elena, poteva fornire la nuova solida base per rifondare l’impero di Roma. Certamente per certi aspetti fu un azzardo ma, dopo 1700 anni, dobbiamo constatare l’efficacia di quella che fu una delle più lungimiranti azioni politiche della storia. Roma ebbe ancora un secolo di prosperità, mentre la parte orientale dell’impero con Costantinopoli resistette potente per mille anni fino al 1453, per passare poi parte della sua eredità spirituale a Mosca, la “terza Roma”, che fa giungere, nel bene e nel male, l’onda lunga dell’operazione costantiniana fino al terzo millennio.

Un imprevisto pericoloso: la controversia ariana

Se l’impero romano doveva essere un impero cristiano, non poteva che essere fermamente fondato su di un’unica fede sicura e condivisa. Per Costantino la controversia ariana si presentava quindi come una situazione pericolosissima, capace di far fallire sul nascere il suo ambizioso progetto. Fu provvidenziale per lui, ma soprattutto per la Chiesa, la presenza del suo fidato consigliere Osio vescovo di Cordova, uno dei pochi presuli occidentali a comprendere la gravità delle posizioni di Ario in ordine al mistero rivelato, che finivano per minare l’intero impianto della fede cristiana. Un cristianesimo ariano avrebbe fatto perdere la fede nella divinità di Gesù Cristo, la cui confessione costituisce il “medulla fidei” della religione cristiana. Nel 324 Osio fu inviato da Costantino ad Alessandria nel tentativo di risolvere la contrapposizione teologica tra Ario e il vescovo Alessandro. Tornato alla corte di Costantino, avrebbe consigliato all’imperatore di convocare un Concilio, sul modello dei sinodi ispanici dei decenni precedenti. Questa assise avrebbe però dovuto essere “ecumenica”, cioè rivolta non solo ai vescovi di una regione ma del mondo intero.

Il concilio ecumenico

Costantino convocò tutti i 1800 vescovi della Chiesa cristiana (circa 1000 in Oriente e 800 in Occidente) nel palazzo imperiale di Nicea e stabilì che i partecipanti viaggiassero e fossero ospitati a spese dell’impero, come avveniva per i funzionari statali; anche da questo si comprende in quale prospettiva si collocasse il Concilio nella mente dell’imperatore. Tuttavia ciò non deve né sorprendere né turbare, giacché Dio governa la storia attraverso le “cause seconde” e la conduce verso il proprio fine, sempre all’interno della logica dell’Incarnazione che prevede l’umana partecipazione e la libera corresponsabilità al compiersi nella storia del mistero di salvezza. Nonostante le agevolazioni imperiali, solo un numero ristretto di vescovi fu in grado di partecipare al Concilio: da 250 a 320; normalmente si accetta il numero di 318, testimoniato da Eusebio di Cesarea, dei quali solo 5 provenienti dall’Occidente. Sarebbe stato compito del Concilio elaborare il contenuto della fede, condiviso da tutta la Chiesa. Nulla avrebbe potuto simbolizzare più chiaramente la nuova relazione tra Chiesa e Impero che le caratteristiche anche esteriori del raduno di Nicea. L’imperatore stesso lo presiedeva, “come un messaggero celeste di Dio”, così come si espresse uno dei presenti, Eusebio, vescovo di Cesarea, grande storico della Chiesa antica. Alla conclusione del Concilio i vescovi cenarono con l’imperatore. “Le circostanze del banchetto – scrive sempre Eusebio, senza nascondere la sua soddisfatta meraviglia ed emozione – erano splendide oltre ogni descrizione. Distaccamenti di guardie del corpo e di altre truppe circondavano l’ingresso del palazzo con spade sguainate, e nel mezzo gli uomini di Dio procedevano senza timore nei più interni degli appartamenti imperiali. Alcuni furono compagni di tavola dello stesso Imperatore, altri si reclinavano su divani disposti su entrambi i lati. Si sarebbe potuto pensare a un’immagine del regno di Cristo, a un sogno piuttosto che alla realtà”. In vent’anni infatti i vescovi cristiani erano passati da empi nemici dello Stato a commensali dell’imperatore! Le sedute conciliari furono tutt’altro che serene e si giunse anche a momenti turbolenti, che possiamo vedere sintetizzati nella tradizione dello schiaffo assestato da san Nicola di Bari ad Ario. La maggioranza dei vescovi si orientò a rigettare il pensiero di Ario. Tuttavia Osio, che presiedette alcune sessioni, era cosciente che il criterio veritativo della fede fosse la Tradizione e non il consenso di una maggioranza e proprio attraverso il modello ispanico del Concilio cercò di creare consenso attorno alla Tradizione.

Osio di Cordova

Osio ebbe un ruolo importante nella vicenda di fede dell’imperatore Costantino. Sant’Atanasio, suo amico, lo chiamò in diverse occasioni “il grande”, “il confessore di Cristo”, “il venerabile vecchio”. Lo storico Eusebio di Cesarea dice di lui che Costantino lo considerava la figura cristiana più eminente del suo tempo. Nacque a Cordova nel 256 da una ricca e importante famiglia romana e fu eletto vescovo della sua città natale nel 294. Durante le persecuzioni di Diocleziano e Massimiano, rifiutando di abiurare la propria fede cristiana, fu perseguitato. Reso famoso dalla sua prudenza e dall’abilità politica, accompagnò l’imperatore Costantino I a Milano nell’anno 313 e contribuì alla stesura del famosissimo editto di tolleranza, che dava libertà di culto ai Cristiani. Insieme con gli inviati romani Vito e Valente, Osio presiedette in nome di Papa Silvestro diverse sessioni del Concilio di Nicea. Secondo Atanasio, egli fu in gran parte responsabile della proposta di includere il termine “homousion” – “consustanziale” – nel Simbolo niceno. Sempre Atanasio, testimone oculare, afferma espressamente che il redattore del Credo niceno fu Osio stesso, che firmò per primo i canoni del Concilio di Nicea.

Il Simbolo niceno

Ravvisando un’estrema necessità di chiarezza dottrinale, i vescovi presenti a Nicea scelsero un credo specifico che stabilisse in modo chiaro la fede cristiana, in modo che fossero inclusi nella Chiesa tutti coloro che lo avrebbero professato ed esclusi quelli che lo avrebbero rifiutato. Alcuni elementi distintivi del credo niceno devono essere fatti risalire sicuramente ad Osio di Cordova. Dio è uno solo: “Credo in un solo Dio”. Cristo è descritto come: “Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero”, confermando in modo inequivocabile la sua divinità. Gesù Cristo è affermato “generato, non creato”, in opposizione diretta con l’arianesimo. La dottrina dell’“homooùsion” viene sancita esplicitamente, affermando che Padre e Figlio sono dell’identica sostanza; in latino verrà resa con l’espressione “consustantialem Patri”. Relativamente alla fede nella terza Persona di Dio Trinità, a Nicea vengono formulate solo le parole “e nello Spirito Santo”. Il credo niceno finiva con queste parole ed era immediatamente seguito dai 20 canoni conciliari. Sarà poi la riflessione del Concilio Costantinopolitano I del 381 a sviluppare la professione di fede nello Spirito Santo. Per questo motivo “il Credo”, che oggi recitiamo nelle celebrazioni festive, porta il nome di “Simbolo Niceno-Costantinopolitano”.

Nella foto: Giovanni Guerra, Cesare Nebbia e aiuti, Il primo Concilio di Nicea, 1588-1590, Salone Sistino, Palazzi Apostolici Vaticani, Roma

Commenti: 0

Il tuo indirizzo mail non sarà reso pubblico. I campi obbligatori sono segnati con *