Se anche il lavoro è povero
Di Cesare Raviolo
Il Rapporto Istat 2025 sulla situazione del Paese, presentato nei giorni scorsi, ha fornito una fotografia aggiornata delle condizioni socio economiche dell’Italia, con particolare riguardo a Pil (Prodotto Interno Lordo) e occupazione. Nel 2024 il Pil è cresciuto dello 0,7%, come nel 2023 con un risultato inferiore a Francia e Spagna, dove l’incremento è stato rispettivamente +1,2% e +3,2%, mentre la Germania con -0,2% è in recessione. Il ridotto tasso di crescita in Italia, più che in altri paesi Ue, ha limitato le prospettive di maggior benessere economico: dal 2000 al 2024 il Pil reale è cresciuto meno del 10%, mentre ha registrato incrementi intorno al 30% in Germania e Francia e su- periori addirittura al 45% in Spagna. Nello stesso arco di tempo, l’occupazione è cresciuta a un tasso più sostenuto (16%), in linea con quella di Francia e Germania. Tuttavia, in Italia, secondo l’Istat, sono “cresciute le possibilità di occupazione ma non necessariamente quelle di benessere economico, poiché la crescita della domanda di lavoro è stata più rilevante nelle atti- vità dei servizi ad alta intensità di lavoro, ridotta produttività e bassi salari”. Di conseguenza il Pil per occupato in Italia è diminuito del 5,8%, mentre in Francia, Germania e Spagna è aumentato di circa l’11-12%. Per effetto delle dinamiche sopra ricordate, le retribuzioni nominali per dipendente, tra il 2019 e il 2024, hanno perso il 4,4% del proprio potere d’acquisto, contro il 2,6% in Francia e l’1,3% in Germania. Al contrario, in Spagna, hanno be- neficiato di un guadagno, in termini reali, del 3,9%. Dunque, il milione e più di posti di lavoro creati negli ultimi 30 mesi non ha avuto effetti positivi su Pil e retribuzioni. Anzi! Secondo uno studio Cgil, il 62,76% dei lavoratori italiani guadagna meno di 25 mila euro lordi annui a causa della tipologia contrattuale (contratti a termine), del tempo di lavoro (part time involontario), dell’elevata incidenza delle qualifiche più basse (operative e con poca formazione) e della forte discontinuità lavorativa (l’83,5% dei rapporti di lavoro cessati ha avuto una durata inferiore all’anno e il 51% fino a 90 giorni). Da ultimo, la bassa retribuzione oraria: per circa 2,8 milioni di lavoratori dipendenti è inferiore a 9,5 euro lordi, contro quella di Lussemburgo (14,86), Paesi Bassi (13,27), Irlanda (12,70), Germania (12,41) e Francia (11,88). È il triste fenomeno del “lavoro povero”, che invece di fonte di benessere e dignità diventa causa di difficoltà economiche e sociali.
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