Modernismo al cimitero
Di Pier Luigi Feltri
Negli ultimi anni si è diffusa la tendenza a considerare i cimiteri non solo come luoghi del commiato, ma come veri e propri musei a cielo aperto. Il Cimitero Maggiore di Voghera non fa eccezione per i suoi tesori artistici, ma l’attenzione del visitatore è inevitabilmente catturata anche dalla rilevanza architettonica della sua porzione occidentale: il Quinto Ampliamento (1997-2003). Tale sezione fu progettata da Antonio Monestiroli, professore del Politecnico di Milano e allievo di Ernesto N. Rogers, e rappresenta uno degli interventi meglio riusciti nell’architettura italiana dedicata alla memoria collettiva. Il progetto si articola attraverso la relazione tra elementi archetipici e complessi: la grande corte dei loculi, orientata a Ovest, l’edificio dell’ossario a Nord, e il bosco di pioppi cipressini dedicato alle inumazioni a terra. Proprio la grande corte, che funge da atrio all’intero cimitero, è l’elemento più significativo. I suoi tre lati, costituiti da volumi in lateri- zio, richiamano l’identità storica di Voghera: i nudi mattoni sono infatti “rossi come quelli del Castello e del Duomo” e creano così un ponte materiale e simbolico tra la città dei vivi e quella dei morti. Mille lapidi uniformi in pietra bianca di Vicenza punteggiano in modo ordinato e ripetiSANTI E BEATI di Daniela Catalano San Berardo patrono della Marsica tivo le pareti, ricordando l’eguaglianza di tutti gli uomini dinanzi al mistero della morte. Il lato non occupato dalle sepolture risulta aperto verso la via dedicata al pubblico passaggio, “così che tutti quelli che passano possano vederle”, ha scritto Monestiroli: “I passanti si fermano a contemplare quella distesa di lapidi e riconoscono in quel luogo la memoria di un’intera città”. A definire la corte contribuisce poi uno specchio d’acqua, che scorre intorno a un prato centrale, creando un’isola accessibile tramite percorsi predeterminati. Ma la chiave per comprendere l’intero progetto sta nel rispetto che, per Monestiroli, si deve ai defunti. Esso si esprime in due modi inscindibili: come sentimento individuale legato agli affetti e come coscienza collettiva, che riconosce nei morti una parte della storia cittadina. Impongono entrambi una riflessione, perché il bisogno di ricordare è un’emozione “che non accetta esclusioni”. Tutto l’impianto è dominato da un rigore costruttivo che non ammette imperfezioni, nemmeno nelle parti invisibili. Questa, che è una vera intransigenza etica, si spiega – come ricordato da Tomaso Monestiroli – con l’adesione al monito del maestro del Modernismo Ludwig M. van der Rohe: “Dio vede tutto!”.
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