La casa di riposo degli orrori

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L’hanno chiamata “la casa di riposo degli orrori” e ci ha colpito, spaventato, impressionato perché l’orrore, quando te lo ritrovi vicino, è un pugno nello stomaco. Però qui si parla di pugni veri, di percosse, di sevizie, quelli che, stando alle indagini della Procura, subivano molti degli ospiti della residenza “Monsignor Rastelli” di Montebello della Battaglia. Una struttura per anziani e disabili che porta l’insegna dell’O.F.T.A.L. anche se con l’Opera Federativa Trasporto Ammalati a Lourdes non ha niente a che fare e ne avrebbe usurpato il nome, scritto senza puntini. Questioni di grafia, di lana caprina, che, intanto, hanno fatto sempre credere a tutti che la casa di via Costaiola, fondata nel 1991 dal dottor Danilo Cebrelli, oftaliano di ferro, c’entrasse davvero con chi si occupa di accompagnare i sofferenti alla grotta della Madonna. Dame e barellieri che poi andavano a trovare e ad accudire, da volontari, quegli stessi malati lì, dentro l’ospizio degli orrori. Adesso sono increduli, costernati. Un equivoco; un inganno. Il direttore Giovanni Gastaldo e il dipendente Davide Montagna sono finiti agli arresti domiciliari: ci sono video e dichiarazioni che testimoniano le violenze che avrebbero inflitto ai poveri ospiti, inutilmente, senza pietà. Roba che chi ha un familiare in una struttura del genere ha drizzato le antenne, ha pensato: e se fosse accaduto a lui? Invece no, per fortuna. No, non sono tutte così le case di riposo. Tante sono nate come funghi più per business che per vocazione. Tantissime sono centri di eccellenza che mettono al primo posto la dignità e la salute del paziente. Perché vanno di moda? Perché spesso, in casa, non ci sono le condizioni per curare i propri vecchi, non ci sono competenze, spazi, presupposti per portare avanti la terapia. Ma spesso, anche, curare un anziano è una fatica, sottrae tempo e serenità alla vita e allora meglio portarlo là, lontano, e andare a trovarlo nel fine settimana. L’orrore di Montebello è venuto a galla grazie a due infermiere che hanno filmato e denunciato le violenze. Poi si sono licenziate. Il loro gesto in una brutta storia è l’unica nota positiva. L’unico pensiero che trasforma la paura in speranza.

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