«Difficile comunicare con gli ospedali. Si perde tempo prezioso»

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I medici di famiglia sono i primi a ricevere le chiamate dei pazienti ammalati. Ne abbiamo intervistato uno, Silvia Stella, che opera a Castelnuovo Scrivia

Il medico di famiglia è il primo anello, il primo filtro nella comunicazione da parte del paziente di un suo malessere. A lui ci si affida nella quotidianità ed è questo professionista ad essere subito chiamato, in giorni di emergenza mondiale, per avere indicazioni su come affrontare in modo corretto potenziali sintomi di contagio da Coronavirus.

Silvia Stella, 58 anni, è un medico di famiglia operativo nei comuni di Castelnuovo Scrivia e di Isola Sant’Antonio.

Dottoressa, cosa significa essere sul campo anche a distanza?

«Significa essere sempre reperibili, sempre a disposizione: i nostri ambulatori sono fisicamente chiusi, ma noi medici siamo dentro, ci siamo lo stesso. Dobbiamo esserci soprattutto in questo momento complicato, poiché siamo noi il primo contatto, il primo numero di telefonino che il paziente trova. In condizioni di normalità la nostra reperibilità inizia al mattino alle 8 per terminare alle 14, ma ora – eticamente, per coscienza civile – non possiamo staccarlo. In pratica ci passiamo il testimone alle 20 con il collega della guardia medica: si chiama “continuità assistenziale”».

È noto che gli ambulatori medici siano ricettacolo principale di malattie. Chi vi ha dato indicazioni per riorganizzare le visite?

«Ci siamo autonomamente organizzati a gruppi di medici di base: faccio parte di un’équipe territoriale che ha in carico le comunità della Bassa Valle Scrivia (Castelnuovo Scrivia, Pontecurone, Guazzora, Isola Sant’Antonio, Molino dei Torti, Alzano Scrivia, Alluvioni Piovera e Sale) e che si riunisce una volta al mese. Quando ci siamo resi conto che la situazione stava degenerando, abbiamo deciso di limitare al massimo le visite fisiche.
I nostri pazienti hanno compreso il motivo della non accessibilità libera ai nostri studi e, nel manifestarci le loro problematiche al telefono, vengono anche visitati, ma solo previo appuntamento. Nessuno viene lasciato solo. Io, come i miei colleghi, abbiamo fatto in modo di far trovare su un tavolino, all’ingresso, una mascherina e del disinfettante».

E chi le ha fornito i presidi sanitari per tutelare la salute sua e dei suoi pazienti?

«Me li sono procurati io. Chi, per tempo, ha avuto sentore che questo virus sarebbe diventato una pandemia, se li è acquistati. Ora però le scorte sono finite e noi medici di famiglia lavoriamo con un altro grave deficit: non abbiamo un numero diretto e “dedicato” per poterci rivolgere alle autorità sanitarie che stanno subito dopo di noi, nel caso in cui, riscontrato un sospetto caso di Coronavirus che abbiamo ritenuto di mettere in isolamento domiciliare, lo vediamo poi aggravarsi nel giro di pochissimo: il problema è che non abbiamo, di fatto, modo di relazionarci nell’immediato col personale medico ospedaliero.
Perdiamo delle ore a contattare numeri che vengono utilizzati dall’utenza comune e risultano sempre occupati. Perdiamo tempo per salvare delle vite».

Altra “perdita di tempo” è la burocrazia ordinaria.

«Il moltiplicarsi delle quarantene comporta un enorme aggravio di lavoro speso non dietro ai malati, ma per compilare le schede da inviare all’Inps per giustificare le assenze di lavoro. Io ho 3000 assistiti (1500 miei e 1500 di un collega malato), e solo oggi ho 60 pazienti in quarantena obbligatoria da denunciare all’Inps. Mi servono circa 5 minuti a scheda, quindi fanno oggi 5 ore sottratte al mio lavoro di medico per inserire dati per l’Inps.
Se emergenza è, lo deve essere per tutti.
La mia proposta è che in caso di quarantena il medico di famiglia invii un semplice elenco giornaliero con i codici fiscali dei quarantenati da mandare via email ad un indirizzo dell’Inps dedicato. E questo non tra un mese o tra una settimana, ma subito».

Alessandra Dellaca’

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