Altri mondi, la Toffa, Vialli, l’ospedale

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Ci sono mondi dentro il mondo che fingiamo di non vedere. Ma, prima o poi, ti capita di frequentarli e allora ti accorgi di quanto sia tutto in bilico. L’ospedale, per esempio. La storia di oggi è la storia di una giornata passata casualmente al DEA del policlinico “San Matteo” di Pavia, nel reparto di Chirurgia generale 2. Anzi, si tratta di tante piccole storie di persone che lavorano lì o che sono ricoverate. Quelli che curano (qui vorrei dedicare due righe non solo ai medici, ma pure alle infermiere, al personale che fa turni di 12 ore ma non perde il sorriso, l’amorevolezza, la lucidità) e quelli che sono curati. Ognuno fuori dalla cosiddetta vita “normale”, attratto, per necessità o per scelta, in una vita di confine, sulla linea del dolore, sul filo dello stare bene e stare male. I pazienti scendono ancora, entrano in un terzo spazio: la sofferenza. E per quanto siano attorniati dal calore di familiari e amici, sono, in quei letti, effettivamente soli con la malattia. Pieni di dubbi e di domande. Attaccati alla vita come a un respiratore. Nessuno, anche se in buona fede, può dare loro consigli e pacche sulla spalla per “rimettersi in forza”. E vengo ai malati di cancro. Ne conosco alcuni e so il Calvario che hanno affrontato, le giornate piene di code negli ambulatori, le operazioni, gli esami, la chemio, i capelli che cadono, lo sguardo perso di una mamma e quello spaventato di un figlio. Il cancro non è un dono, come ha scritto nel suo libro Nadia Toffa delle “Iene”. Il cancro è una piaga e se tu sei un guerriero e lo combatti, rimane una piaga. Non te ne accorgi finché non metti il naso in quei reparti. Soltanto dopo puoi parlarne. Ma sempre – mi raccomando – con molto rispetto e senza rendere la malattia spettacolo. Per i pazienti resta una speranza: affidarsi a Dio. Gianluca Vialli, che ci è passato, ha ammesso: “Ho avuto paura”. Di cancro si guarisce e, purtroppo, si muore: questa è l’unica certezza. La verità, invece, è che Dio c’è e non ci abbandona mai.

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